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Il Divo, una boccata d’aria fresca

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VenticinqueGocce

Mentre scrivo sta imperversando la bufera, ormai da tanti giorni: cattiva, insistente, sempre e comunque preoccupante; passa sotto gli spifferi delle porte, non dà tregua. Decido così di chiudere internet, la radio, la televisione per avere almeno un minimo di pace, di silenzio nel quale pensare, e provare a smorzare quel vento mefitico di parole, ingiurie, insulti, di grida, di promesse vane.

La campagna elettorale, rigorosamente legata alla “par condicio” come il secchio con la corda, o il paguro bernardo con la conchiglia, si ripropone ogni volta più grottesca, sporca, fisicamente insopportabile. La più ripugnante di sempre.

Spegniamo tutto. Facciamo buio e silenzio. Basta per favore.

Nel buio s’è acceso un cerino: per qualche giorno il Divo Claudio ha saputo assorbire l’interesse nazionale, catalizzando l’attenzione di un Paese stanco, scontento, rancoroso, provato dalle nauseanti promesse e dalle liti e gli insulti a distanza via twitter e Facebook dei politicanti: è stato come respirare aria più pulita, diversa, nonostante siano solo canzonette, delle quali, tra un mese, i network radiofonici faranno volentieri a meno. Alcuni partecipanti avrebbero dovuto comprendere che l’essere appartenuti ad un gruppo famoso non è garanzia di successo, e che fare i dinosauri della musica non sempre paga; altri si sono rivelati delle buone conferme, altri torneranno nell’anonimato o verranno rispolverati nella prossima edizione. Ma Sanremo è Sanremo.

E Baglioni ? Sta festeggiando i  cinquant’anni di carriera. Dalla “lacca” con su scritto “questo non farà mai nulla di buono” a Dittatore Artistico dell’Ariston.

Rimarrà indelebile per sempre quell’atmosfera particolare, per tutti coloro che hanno avuto come colonna sonora della vita i suoi brani, dagli anni ’70 fino a oggi. Ovviamente all’epoca non si ascoltava solo lui, c’erano dei mostri sacri davanti ai quali è doveroso inchinarsi ancora oggi, ma il Claudio nazionale ha saputo accompagnarci con discrezione e permettete, quella punta di timidezza che gli appartiene, e ci ha fatto sognare. Perché in realtà questo Festival lui se lo è cucito addosso come il miglior abito sartoriale, lo ha indossato, ed è stato subito un successo. Un clamore diverso dalle edizioni passate, condotte dall’efficientissimo e preciso Carlo Conti, dall’innovativo Fabio Fazio, per non parlare di quelle ormai lontane degli impareggiabili Pippo Baudo e  Mike Bongiorno.

Questa è stata l’edizione preparata in quasi metà del tempo, più ironica, più leggera ( nulla toglie che “fare” un Sanremo sia difficile comunque ), e di conseguenza più facilmente assimilabile dal grande pubblico; e poi l’effetto valanga che ci  ha portati, chi più chi meno, a fare un po’ più tardi la sera, magari cantando le canzoni che hanno contraddistinto periodi della nostra vita. Forse la differenza con le altre volte è stata proprio questa: far riemergere ricordi, cose passate, frammenti della nostra esistenza attraverso la musica. La sua ovviamente, e mai oltre le righe, sempre con simpatia, con l’umiltà di dire “non è il mio mestiere, ma ci provo”.

Un bicchiere d’acqua fresca: Claudio e Laura hanno infiammato l’Ariston e tutti noi, e quel trio che all’inizio pareva piuttosto precario ha dato il meglio, ed è riuscito a far apprezzare un evento che esiste perché deve esistere e basta. Così, senza un motivo, un fine, ma del quale forse inconsciamente sentiamo la necessità, senza che nulla ci venga dato o tolto, ma semplicemente perché fa parte anch’esso delle nostre tradizioni, delle nostre abitudini: perché può essere gradevole anche il superfluo, ed anche delicato e garbato.

Quando questi miei pensieri, piccoli, molto piccoli, usciranno dalle rotative, saranno già stati spazzati via dal dopo elezioni, e quel clima, quell’appuntamento discreto, piacevole, sarà già stato dimenticato e comunque schiacciato dall’invadenza di coloro che ci hanno promesso l’impossibile.

Saremo passati dalla sua maglietta fina al miliardario ridens, da questo piccolo grande amore al disprezzo per i più indifesi, dai cinque giorni di Sanremo ai cinque anni di faticosa incertezza.

Alla prossima Claudio: quando vorrai, noi ti aspetteremo.

 

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Luciano Simonetti
Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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