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sabato, Aprile 19, 2025

    Una sera al night

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    In ogni disperato agglomerato umano, in ogni compagnia, in ogni gruppo c’è sempre un amico o un conoscente che sa tutto, e che ha anche la pretesa di insegnarvelo perché siete ignoranti.
    Facciamo qualche esempio: avete appena comprato una bella fotocamera? Per lui è una schifezza, perché allo stesso prezzo ne ha trovata una qualitativamente eccezionale.
    Siete appena andati in vacanza in una certa località e avete speso tot? Siete scemi, perché lui nello stesso albergo ha speso la metà del prezzo, ottenendo un trattamento superiore.
    Avete appena comprato un’auto nuova? Per lui vi hanno fregato, figuriamoci il motore lo fanno a Taiwan e la carrozzeria è di cartone. Quella che ha comprato lui invece oltre ad essere la migliore si potrà rivendere allo stesso prezzo anche dopo una decina d’anni.
    Per non parlare delle donne e della bella vita: lui conosce sempre le più gnocche, perché è da sempre nei giri che contano, niente a che fare con quei quattro barboni che frequentate voi… E così via.
    Insomma, quando si conosce un banfone così ci sono solo due modi: o si sopprime o si fa finta di niente. E siccome questo personaggio che chiameremo Pippo è un amico da molto tempo, ho sempre fatto finta di niente, sopportando quindi migliaia di lezioni sul come vivere, ignorandole.
    Nel periodo natalizio di una sera di molto tempo fa, e per molto intendo dire che non era ancora arrivata la tecnologia a rovinare le persone, intorno alle 21 squillò il telefono. Ovvero quel bel telefono della Sip di colore grigio, con il disco ed i buchi con i numeri, che non faceva foto ma udite udite, serviva solo per telefonare.
    Io mi ero appena organizzato una seratona: nuova videocassetta VHS di fantascienza, cuffie, birretta e divano comodo.
    Nessuna fidanzata a rompere i maroni, niente prove con i Monsters.
    Con un brivido, alzai la cornetta: “Ciao sono Pippo, senti preparati che alle 22 passo a prenderti, ti porto al night”. Provai a rifiutare con le scuse più notevoli, tipo “sono già in pigiama” oppure “no dai domani devo alzarmi presto per andare al lavoro” oppure “sai che odio la discomusic” ma niente da fare. A malincuore misi da parte birretta e VHS.
    Il primo dubbio fu: cosa mi metto? Cosa indossavano le persone nei night? Abbigliamento sado maso? Non ne avevo, al limite avrei potuto confezionarmi una canotta unendo le reti delle arance.
    Vestiti in pelle? Ma no, stavolta il prezioso Schott doveva starsene a casa. Mi venne in mente che avevo il vestito della cresima, per stare sull’elegante. Era solo un po’ corto.
    Pippo venne a prendermi con una Porsche Boxter alle 22.30, perché i VIP arrivano sempre in ritardo: il volante di quell’auto costava come la mia Ford Fiesta. Durante il viaggio l’amico mi elencò tutti i pregi di quel locale, che lui frequentava abitualmente, e di come erano simpatici i suoi amici.
    Io, che ero già asociale allora, diffidavo sempre di chi faceva il brillante simpaticone con i soldi.
    Arrivammo così a Torino “solo” alle 23. Il night avrebbe aperto non prima delle 24. Iniziammo così a fare finta di passeggiare sotto i portici di Via Sacchi, tenendo d’occhio la minuscola porticina.
    C’era uno strano movimento, o meglio molti altri uomini facevano finta di passeggiare tenendo d’occhio la minuscola porticina. Era lampante che questo raduno di sfigati andava al night.
    Finalmente entrammo. La valchiria guardarobiera senza guardarmi disse “Sono cinquantamila”.
    Mentre mettevo mano alla preziosa busta custodita gelosamente con la tredicesima appena ricevuta, pensai che con quella cifra avrei bevuto almeno una ventina di birre medie.
    Il night, come tutti i night, era squallido: un bancone con il bar, molti divanetti in penombra, una pista per ballare. Saremo stati una ventina di persone, ovviamente tutti maschietti.
    Alcuni bevevano, altri seguivano i vari balli che proponevano delle ragazze seminude molto belle (è ovvio che fossero ragazze molto belle, difficile che mettano una casalinga 60enne sovrappeso).
    Era lampante che la maggior parte dei maschietti erano sposati, perché avevano quasi paura di guardarsi intorno. Mi sembra di sentire le scuse: “Cara vado un attimo a prendere le sigarette” oppure “Cara porto fuori il cane” o ancora “Ooops, ho dimenticato una cosa in ufficio”…
    La musica, manco a dirlo, per me era orribile: discomusic anni 80 intervallata da latino americano. Giuro che se avessero messo “Il mio amico Charlie Brown” con tanto di trenino triste sarei fuggito e sarei tornato a casa in taxi. Ma per fortuna me la risparmiarono.
    Ad un certo punto, sarà stata l’una, Pippo sparì con una avvenente bruna giunonica: pensate solo che la misura del suo seno era pari alla misura della mia vita, oggi. Si diressero verso una zona appartata, evidentemente il mio amico fremeva per darle qualche lezione di vita.
    Io mi ero già stufato. Che fare? Visto che la cassiera mi aveva dato due buoni per la consumazione andai al bar, tenendo i buoni stretti stretti in mano. Ordinai una Pina Colada e mi misi in un angolo, ad osservare gli umani, con i loro comportamenti strani e poco corretti: ormai quelli del gruppetto aziendale che fissavano le ballerine erano completamente partiti. Bastava solo un cenno delle ragazze e avrebbero piantato moglie e figli per fuggire via, verso un improbabile futuro…
    Dopo qualche minuto, notai una spettacolare ragazza che mi fissava: per capirci, bionda, occhi azzurri, alta circa 5 metri di cui 3 di gambe, probabilmente ucraina e comunque russa.
    Aveva una microgonna talmente corta che un qualsiasi ginecologo sarebbe stato molto facilitato per la visita. Comunque. Mi fissava. Cominciai a sudare freddo. Oh signur, ma questa qui cosa vuole da me? Una così? Sarà mica uno scherzo? Ma non la conosco… mah forse si sbaglia.
    Niente da fare: cominciò a venire verso di me. Io facevo finta di guardare le bottiglie del bar: avete presente quando a scuola il professore leggeva il registro alla ricerca di qualcuno da interrogare, e tutta la classe faceva finta di guardare il soffitto? Ecco, proprio così.
    Mi si sedette vicino, e guardando il buono della consumazione mi disse: – Ciao, mi offri qualcosa? –
    Non so perché risposi così, forse per la mia abituale diffidenza, forse perché non avevo niente a che fare con quel tipo di vita. Comunque la mia risposta rappresentò una delle mie più grandi gaffe degli ultimi 300 anni, me ne vergogno ancora adesso. Le dissi, fissando il buono della consumazione: “No, è mio”. La ragazza, esterrefatta non disse niente e si allontanò a cercare qualcun altro. Il barista aveva un’espressione che andava tra lo stupito e lo schifato. Io ero una statua di sale.
    Solo dopo capii che in questi locali era normale, ovvero c’era il primo approccio bevendo insieme e poi chissà… avrei fatto la fine degli sfigati sopra, quelli del gruppo aziendale.
    Per fortuna vidi Pippo ritornare, piuttosto trafelato mi disse: “Dai, per stasera ne ho abbastanza, torniamo a casa”. Non capivo come mai tutta sta fretta, non erano poi nemmeno le tre: poi capii.
    Pippo scoprì che la sua avvenente bruna in realtà era un camionista turco chiamato Helga, molto famoso sulla tangenziale Sud, che arrotondava per pagarsi il gasolio del suo TIR.
    Mentre tornavamo a casa, Pippo esordì con: “Senti, ho certi amici facoltosi che vivono in Svizzera, conoscono un night di Montreux con delle polacche da sballo. Mi hanno invitato, sabato prossimo ci andiamo? Dai, in un’oretta siamo lì”. Risposi: “Sentimi bene Pippo: se proprio devo andare in Svizzera, lo farei solo per mangiarmi una mitica fonduta”. E bon.

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