Non so se si possa definire una vera e propria mutazione, ma di certo qualcosa è cambiato.
Mi spiego. Prima, come si faceva a discriminare chi era casellese e chi no? Semplice: chi non alzava gli occhi al cielo all’approssimarsi del rumore d’un velivolo in atterraggio o era afflitto da pesante deficit uditivo, o era casellese verace.
Adesso, qualcosa è cambiato. Sono talmente pochi gli aerei in arrivo che chi appartiene alle “Quattro case” ora proprio non riesce a resistere alla tentazione di volgere lo sguardo all’insù, di carezzare con un battito di ciglia quelle macchine volanti che abbiamo sempre amato-odiato, dispensatrici di “ombre veloci”, di apprensioni e che ora scopriamo essere parte di noi. Parte mancante.
Data ormai un anno la mutilazione e bene lo sanno tutti quelli che attorno agli aerei confidavano per avere lavoro e vita. Il nostro aeroporto riceve premi e attestazioni, ma soffre d’un traffico praticamente azzerato, visto che di passeggeri non ne giungono se non in esigua misura e i “cargo” sono troppo spesso dirottati altrove.
Chi l’avrebbe mai detto che gli aerei ci sarebbero mancati così tanto? L’indotto che li supportava – logistica, dogane, comparto bagagli, ricettività, pulizia, controllo e vigilanza…- rappresentava pane per molti di noi, e adesso?
La crisi di Torino ( una Torino che vanta ancora eccellenze, ma che è sempre più confinata in un estremo nord-ovest e sempre meno produttiva) è la nostra crisi e occorre seriamente prepararci al dopo. Un dopo che sicuramente verrà. Venisse meno in noi anche questa certezza, delegheremmo al buio ogni futuro, e non si può: non si deve.
Certo che occorre già adesso compattare i ranghi. La politica cittadina è chiamata ad avere una visione ampia e duttile, che sappia supportare in modo adeguato e concreto tutti i gangli della nostra società. Necessita una regìa capace di attuare e poi interpretare una fotografia immediata della situazione attuale e di quella che verrà.
Anche se incredibilmente, in un anno orribile come è stato il 2020, il commercio cittadino ha visto crescere il numero di nuovi esercizi, è palese che il nostro mercato al dettaglio, in più d’un settore, langua. Salvo che non si voglia non vedere, le principali arterie del centro storico hanno troppe serrande chiuse e poche vetrine ad attrarre.
Tutto ciò che appartiene al terzo settore uscirà a pezzi dalla crisi generata dalla pandemia. Delle decine e decine di associazioni che la nostra comunità può vantare, molte versano in condizioni ben più che precarie e non c’è nulla che sappia creare tessuto quanto i sodalizi culturali, di semplice aggregazione o sportivi.
Già, lo sport. A meno che erroneamente, e per totale ignoranza in materia, non si ritenga che chi si dedica all’organizzazione delle associazioni sportive possa pescare dalle tasche di qualche oligarca russo o di qualche emiro, forse sarebbe il caso di interessarsi al deserto che stiamo per attraversare. Negata la possibilità di pratica e di allenamento di ogni disciplina che preveda contatto e il venir meno della distanza di sicurezza, la più parte delle nostre associazioni sportive dilettantistiche è in agonia da asfissia prolungata: urgono sostegni morali e materiali, pena la scomparsa di un comparto vitale per la sopravvivenza dei nostri giovani e non.
Per tacere di ciò che potrebbe accadere a chi prova a promuovere cultura. Eccetto che non si voglia copiare Torino, dove pare che la sola pronuncia della parola cultura faccia sorgere orticaria in chi riveste ruoli apicali e preposti, anche qui necessitano sostegni che dovranno essere tangibili appena si potrà ripartire.
Non sarà propriamente domani, ma tra qualche mese, vivaddio, ripartiremo e dobbiamo
Il dopo
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