Non può che cominciare così l’ultimo editoriale di questo tribolatissimo 2021, che non vediamo l’ora di buttarci alle spalle: auguri, buona gente, possano le prossime feste riconciliarci con la serenità di cui tutti abbiamo maledettamente bisogno.
Felicità? Purtroppo non appartiene ancora a questi tempi grami. Troppo il dolore alle spalle, troppe le incognite che il futuro sembra riservarci. Mi accontenterei di molto meno.
“ Io vulesse truvà pace”, come nella poesia del grande Eduardo De Filippo, un tempo sospeso, cullato da un silenzio capace di portarci via questo mondaccio infame. Questo mondo fatto di troppe chiacchiere inutili, che invece di chiarire confondono.
Troppo desiderare un giorno, un giorno solo, senza talk show che ci ammanniscano sedicenti esperti, per lo più narcisi che non perdono volta per sproloquiare? E un TG senza vedere una siringa che buca una spalla? È chiedere troppo, lo so.
Il mio, si badi, non è un rifiuto per la vita. Quella umana è la più affascinante delle commedie e io vorrei che su questa ribalta fossimo tutti protagonisti, ma purtroppo non è così. Più che mai ora, dove e quando abbiamo superato abbondantemente Orwell coi suoi scenari distopici.
Un antidoto ci sarebbe se non fosse banalizzato, se quella parola troppe volte ripetuta non risultasse alla fine un guscio vuoto. Fossimo in grado di tornare alla sua essenza, allora sì che “amore” potrebbe tornare a curare.
L’amore è una cosa semplice e per questo terribilmente complicata, perché implica il donarsi senza condizioni e infingimenti. Ma è l’unica via, come deve aver detto Aristotele da qualche parte, capace di condurci all’eudemonia, al perseguimento della felicità, scopo fondamentale della vita, pena la negazione della sua completezza.
Dovremmo però staccarci dall’edonismo di cui questa nostra era è permeata, per sfuggire al desiderio della ricerca del piacere immediato, del godimento a oltranza, impossibile da ottenere. Così come convincerci che la via che conduce alla virtù non può essere scevra da sacrifici e, ahinoi, a volte, dal dolore.
Nell’etimo della parola eudemonia compare il termine “daimon” identificabile, più che come il demone che la nostra cultura connota, come un ostacolo posto a impedirci di vedere compiuta l’unione tra umano e divino. Questo ostacolo è quello che condiziona le nostre vite, che spinge verso il basso le nostre esistenze, privandole della felicità che solo donando amore si può provare.
Quello che nella Traviata a un certo punto stranisce Violetta è: “O gioia ch’io non conobbi, essere amata, amando!”. Lei donna abituata a ricevere amore senza darne, si trova improvvisamente sconvolta dall’accorgersi che per la prima volta la felicità potrebbe venirle dal donare senza calcoli .
Nudi davanti allo specchio della vita sappiamo rispondere al quesito più grande: so amare in modo incondizionato senza pretendere nulla in cambio mai?
Il viaggio che conduce verso la ricerca della felicità è un viaggio fatto di innumerevoli tappe, irto di insidie, ma se corroborato dall’amore senza finzioni e pretese, da un cuore puro non può che condurre alla felicità, alla serenità. Ryszard Kapuscinski ha scritto:“Un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo, né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. È il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile.”
Come l’amore.
Buon viaggio e buona vita a tutti voi. Possano le feste riconciliarvi con il bene più grande.
Questo è l’augurio che vi faccio dal più profondo del cuore.