Molti sono gli scrittori e i poeti che sono stati suggestionati dalla silenziosa bicicletta, fin dalla sua prima comparsa sulle strade. Fra essi anche Giovanni Pascoli (1855-1912), il “poeta fanciullino” che vedeva nella sensibilità del poeta il “nido” in grado di proteggere gli uomini dal male. La poesia “La bicicletta” viene scritta nel 1903 ed è inserita nella raccolta “I canti di Castelvecchio”. In un meraviglioso susseguirsi di immagini quasi cinematografiche del mondo e delle sue creature che si disvelano allo sguardo privilegiato del pedalatore, dei personaggi che egli incontra per la via e che interagiscono con lui, il veloce moto della bicicletta diventa la metafora stessa del fugace trascorrere della vita. E dall’illusione ottica del paesaggio in movimento rispetto all’osservatore, sembra nascere una correlazione cosmica tra il moto della bici e quello universale del pianeta. Fino a quando inizia a calare la notte e il pedalatore, guidato dalla tenue luce della lampada, attraversa le oscure vie della città per far ritorno al tepore rassicurante della sua casa.
Mi parve d’udir nella siepe
la sveglia d’un querulo implume
Un attimo… Intesi lo strepere
cupo del fiume.
Mi parve di scorgere un mare
dorato di tremule messi.
Un battito… Vidi un filare
di neri cipressi.
Mi parve di fendere il pianto
d’un lungo corteo di dolore.
Un palpito… M’erano accanto
e nozze e l’amore.
dlin… dlin…
Ancora echeggiavano i gridi
dell’innominabile folla;
che udivo stridire gli acrìdi
su l’umida zolla.
Mi disse parole sue brevi
qualcuno che arava nel piano:
tu, quando risposi, tenevi
la falce alla mano.
Io dissi un’alata parola,
fuggevole vergine, a te;
la intese una vecchia che sola
parlava con sé.
dlin… dlin…
Mia terra, mia labile strada,
sei tu che trascorri o son io?
Che importa? Ch’io venga o tu vada,
non è un addio!
Ma bello è quest’impeto d’ala,
ma grata è l’ebbrezza del giorno.
Pur dolce è il riposo… Già cala
la notte: io ritorno.
La piccola lampada brilla
per mezzo all’oscura città.
Più lenta la piccola squilla
dà un palpito, e va…
dlin… dlin…
Giovanni Pascoli