La Galleria Pirra (Corso Vittorio Emanuele II, 82 – Torino) fin dal 1969 organizza esposizioni con opere di artisti di rango -Renoir, Modigliani, Utrillo, Giacomo Grosso- e si occupa di autori quali Edgardo Corbelli, Giulio Da Milano, Enzo Faraoni e Henry Maurice Cahours.
Dal 1992 la Galleria coltiva interesse verso pittori alternativi all’arte sovietica di regime e non aderenti alla propaganda, appartenenti al Post Impressionismo russo successivo alla Seconda guerra mondiale, tra cui Georgij Moroz (1937-2015), attualmente in mostra.
Il pittore nasce a Dneprodzerzinsk, in Ucraina, e rimarrà fedele alla tradizione realistica russa. L’attività di Moroz inizia negli anni Sessanta, periodo detto “disgelo”, quando si smitizza il culto staliniano, in Russia diventa accessibile la cultura occidentale, vengono aboliti i divieti riguardanti l’arte precedente alla Rivoluzione e “la verità sulla realtà contemporanea si apre un varco con le pubblicazioni di Solzenicyn, Salamoi, Belov” (N. Vatenina).
L’autore completa la propria formazione prima alla Scuola di Belle Arti di Kiev e successivamente all’Accademia di San Pietroburgo, ove è accolto nell’Unione degli Artisti della città.
Nei luoghi preferiti -l’Ucraina, i dintorni di San Pietroburgo e la regione di Tver’, non distante da Mosca- Moroz ritrae la natura al mutare delle stagioni, in dipinti di paesaggio abbozzati “en plein air” e terminati in studio.
Nelle opere si ravvisa una partecipazione emotiva, nonostante la semplicità dei soggetti, e una “sete insaziabile di vedere, amare, riprodurre” (Vatenina) che non ha ricchezza e onori quale obiettivo, anzi l’attività artistica dell’autore risulta estranea al mercato e spesso, in patria, non viene neppure compresa.
La poetica di Moroz esprime per mezzo di fiori, frutti e umili oggetti la bellezza insita nella quotidianità, che “risveglia nell’uomo il sentimento più prezioso, l’amore per la propria terra” (I.G. Romanyceva).
Il gesto non solamente riproduce le forme, bensì conferisce fisicità alla rappresentazione, mentre il tocco pittorico muta in funzione del soggetto descritto e scava finanche impronte sul manto nevoso attraverso il peso misurato delle pennellate.
Acqua e alghe possiedono differente consistenza sulla tela, gli arbusti appesantiti paiono incurvarsi e andare oltre il dipinto mentre accurate, chiare tonalità esaltano una giornata invernale poco luminosa; infine piccoli cumuli di neve spiccano sui rami degli alberi.
Un petalo dopo l’altro, prendono forma gli iris; i lillà emergono tra le ombre del fogliame nella loro sofficità e si possono percepire quasi tattilmente le tavole di legno che sostengono il vaso cristallino.
Gesti rapidi, precisi, indicano l’abilità tecnica del pittore che, con colori nitidi e vivaci, costruisce l’immagine senza ripensamenti.
Linee di forza ascendenti e divergenti esaltano la vitalità dell’erba e dei fiori, che appaiono a portata di mano. Le specie vegetali sono curate nelle loro tipicità, le superfici sono caratterizzate da intenso realismo; quasi si ode il fruscio delle foglie autunnali mentre cadono al suolo, mosse dal vento che increspa l’acqua.
L’atmosfera diviene rarefatta in un interno inondato di luce diffusa; steli, petali e foglie compongono invece un coro cromatico pur distinguendosi uno a uno.
Moroz dunque non si allinea artisticamente a omologazioni ideologiche o politiche, ama la propria terra e le tradizioni senza arroganza, riconosce la bellezza e veicola l’interiorità dell’uomo, individuo di cui afferma il valore, indipendentemente da convinzioni sciovinistiche.
L’arte di Moroz racconta di una natura considerata fonte di gioia e rappresentata attraverso una semplicità che avvicina gli esseri umani; non esistono infatti delimitazioni naturali che separino gli uomini: al di qua e al di là dei confini nascono gli stessi fiori, sorge un unico Sole, scende la medesima neve e scorre la stessa acqua.
La luce giunge sulla Terra per tutti, il sangue ha ovunque un solo colore, il ritmo del cuore è simile in ogni uomo; i bambini piangono e ridono nello stesso modo in qualsiasi parte del mondo mentre analoghe paure e speranze occupano i pensieri di tutti gli esseri umani. Parimenti ci piace credere che l’arte, quale necessità di senso e di bellezza a cui ogni animo aspira, possa contribuire all’incontro pacifico dei popoli e favorisca l’espressione di un linguaggio universale e di fraterni sentimenti.
Un’arte che non conosce confini
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