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giovedì, Aprile 17, 2025

    Solo le madri possono

    Angoscia. Ansia.
    Siamo dentro ad un thriller di Ken Follet o Tom Clancy, ma il delirio cui assistiamo pare senza fine: voltiamo quotidianamente pagine sperando di trovare un barlume di speranza, invece nulla.
    Ho paura. Abbiamo paura.
    Quello che da ragazzi studiavamo sui libri di scuola, magari senza approfondire e con quella noia da pomeriggio inoltrato, finalizzato al 6, è qui, reale, cattivo e senza pietà.
    Adattato ai giorni nostri, ma orribile.
    Ho subìto (non ho un altro termine) la glorificazione della follia umana mentre guardavo il dittatore arringare una folla osannante riuscendo, ed è lì la magia perversa, a far accettare la morte come il miglior regalo per l’amico che soffre, a citare la Bibbia per giustificare l’invasione, a legittimare la distruzione di qualsivoglia attività di uno Stato.
    Sicuramente uno Stato che sotto la guida del Grillo giallo blu, non se la stava passando bene, con lotte interne, scontri, morti. L’ex attore che adesso cerca consensi come un venditore della Folletto cerca di piazzare il prodotto casa per casa.
    In molti sono venuti via da difficoltà e precarietà piuttosto diffuse.
    Va detto che da lì, nemmeno un sasso è stato lanciato oltre il confine russo; è accaduto il contrario.
    Mi chiedo: quanti cittadini di uno stato grande due volte l’Europa si sono sentiti accerchiati, o in pericolo? Quanti credono all’uomo forte rieletto quattro volte, che detiene un consenso dell’ 80 % anche sull’ “intervento militare”, e chi erano le migliaia presenti nello stadio pieno di vessilli con i colori della grande madre Russia?
    Chi crede in un modello fallito e bocciato dalla storia? Chi ha fiducia in un dittatore che manda in galera per quindici anni i dissidenti, i manifestanti, che ha risolto le questioni con gli oppositori avvelenandoli o falciandoli con una raffica di mitra, chi?
    Forse gli abitanti delle regioni più lontane dal Cremlino, per i quali la storia è il 1900, nulla più, quelle fredde, quelle col permafrost, quelle con la nostalgia per lo Zar.
    Forse gli anziani che hanno fiducia in un leader avvolto nel giaccone di Loro Piana, mentre hanno difficoltà nel fare la spesa? I giovani ai quali sono stati letteralmente sradicati i social con i quali avrebbero potuto avere un panorama di informazioni diverso da quelle del regime, e che vivevano come i nostri ragazzi, all’europea per intenderci?
    Certo non sarà un modello perfetto, ma almeno se vogliamo scrivere cretinate o urlarle in piazza, lo possiamo fare. Lo so, non sempre, ma sicuramente con più tolleranza rispetto al fare cose simili nella Piazza Rossa.
    Possibile non inizi a insinuarsi il dubbio che quell’ometto col cappottino da migliaia di euro sia il male? Per come stanno le cose, se in futuro l’umanità esisterà ancora, prevedo avrà un consenso del 90 %, con le buone o con le cattive.
    E allora chi appoggia e sostiene con canti e balli la propaganda da stadio messa su dai nostalgici dell’Unione Sovietica tanto da renderla ridicola e spaventosa allo stesso tempo?
    Sicuramente non le donne. Intendo le mamme, quelle che non vedranno ritornare i loro bambini, perché a 18 anni lo sono ancora, se non dentro sacchi di plastica, forse di nascosto, per non turbare la macchina della propaganda di regime.
    Perché morire a 18 anni per un amico è cosa giusta: il mostro esige sacrifici umani.
    Lo stesso per le madri ucraine: stessa sorte, stesso dolore, stessi sacchi.
    Saranno loro, le madri, le mogli, ad innescare la vera rivoluzione di pace, a dire no a questo nuovo olocausto.
    Lo faranno in silenzio, piano, ma determinate a mettere fine a ciò che politici, alti militari, servizi segreti, oligarchi, gente del popolo con la mentalità dello scorso secolo non vogliono capire, perché farlo sarebbe ammettere il fallimento della propria inutile vita.
    Solo le mamme possono. Come sempre.

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    Luciano Simonetti
    Luciano Simonetti
    Sono Luciano Simonetti, impiegato presso una azienda facente parte di un gruppo americano. Abito a Caselle Torinese e nacqui a Torino nel 1959. Adoro scrivere, pur non sapendolo fare, e ammiro con una punta di invidia coloro che hanno fatto della scrittura un mestiere. Lavoro a parte, nel tempo libero da impegni vari, amo inforcare la bici, camminare, almeno fin quando le articolazioni non mi fanno ricordare l’età. Ascolto molta musica, di tutti i generi, anche se la mia preferita è quella nata nel periodo ‘60, ’70, brodo primordiale di meraviglie immortali. Quando all’inizio del 2016 mi fu proposta la collaborazione con COSE NOSTRE, mi sono tremati i polsi: così ho iniziato a mettere per iscritto i miei piccoli pensieri. Scrivere è un esercizio che mi rilassa, una sorta di terapia per comunicare o semplicemente ricordare.

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