“Dove eravamo rimasti?”, suppongo abbia esclamato alcune settimane fa nel bel mezzo di un giugno insolitamente torrido, il nuovo Sindaco di Caselle riscoprendo sia l’ufficio che fu già suo, sia qualche pratica importante, delicata e nota che, come Argo il cane di Ulisse, pazientemente attendeva nelle sicure scrivanie del Palazzo il ritorno del padrone.
Auguri Beppe! Che la ritrovata fascia tricolore di leggerissima seta, già indossata nei tuoi due mandati precedenti, quando per alcuni anni siamo stati compagni di avventura al servizio di altrettante comunità, non diventi con il tempo un peso insopportabile ora che la nostra città, dichiaratamente già presente nel tuo cuore, è stata messa anche nelle tue mani.
Luglio del resto, oltre ad essere il mese del sonno e delle mosche, è il mese degli auguri: che la guerra, pericolosamente poco distante dai nostri confini, finisca al più presto; che le sanzioni pensate per gli aggressori stranieri smettano di impoverire ulteriormente chi è già povero, smentendo per sempre la fantasiosa convinzione che siano questi ultimi la causa di tutti i mali.
Auguri, dunque, anche di buone vacanze. Fra qualche giorno sarà agosto che per definizione e antica consuetudine è il mese della sosta. Le fabbriche e le città torneranno a cedere il passo ai giorni del traffico eccezionale e costosissimo delle autostrade, alle spiagge esotiche o domestiche nuovamente affollate di turisti stranieri e di connazionali per un attimo desiderosi di affondare al largo i propri affanni. In mezzo a tanta gente, autorizzati a sentirsi stanchi, e perciò meritevoli di riposo, non per il lavoro di un anno, ma per un anno perso a cercare inutilmente il lavoro, anche la triste presenza di molti nostri nipoti.
Pensando a loro sto camminando nel fresco del mattino al riparo dall’impietoso sole di luglio. A pochi passi una panchina mi invita ad assecondare la mia ormai crescente pigrizia. Le gambe distese, le mani serrate dietro la nuca e lo sguardo pericolosamente vagante rivedo gli interminabili pomeriggi estivi di un tempo, quando soprattutto a partire dai primi giorni di agosto i più audaci o i più economicamente fortunati lasciavano Caselle per avventurarsi sulle allora lontane e scomode spiagge della riviera ligure esibendo al ritorno, falsamente incuranti della nostra malcelata invidia, l’inconfondibile colore della vacanza.
Con loro si congedavano temporaneamente per il periodo delle ferie anche i molti casellesi immigrati dal Sud che nel viaggio di ritorno a casa rivivevano il caldo abbraccio del Treno del Sole privi della vecchia disperazione che un giorno li aveva accompagnati nel freddo e nella nebbia del nord. Al paese, oltre a genitori e parenti, ritrovavano amici e coetanei immigrati a Zurigo o a Basilea che, per esternare quanto fosse fortunato il loro approdo nella Svizzera meno italiana, esibivano capi di abbigliamento tanto sgargianti quanto scadenti, non dimenticando di parcheggiare sulla piazza principale la vecchia e ingombrante Opel Kadett rigorosamente noleggiata per l’occasione. Non dimenticavano inoltre di unirsi all’annuale fenomeno di generosità collettiva contribuendo in modo importante sia alle cospicue spese per la complessa organizzazione della immancabile festa in onore del Santo, sia all’oneroso ingaggio del cantante più in voga chiamato ad esibirsi, nel prevedibile tripudio generale, sulla stessa piazza del paese accanto a quella vecchia Kadett presa in prestito per pochi giorni, proprio come la falsa realtà del suo occasionale autista.
Noi, che per necessità e non per scelta preferivamo il pallido sole di casa, ci davamo appuntamento sulla piazzetta della stazione e in bicicletta andavamo verso il nostro mare, verso la nostra spiaggia dove i più grandi ci raggiungevano preceduti dal frastuono dei loro indimenticati motorini ITOM e Dik Dik, nome quest’ultimo che evoca nei meno giovani, musicali sogni americani, California compresa.
Sceglievamo un sasso capace di rifiutare alle possibili folate di vento i nostri modesti indumenti e, intinta con timido rispetto una mano nell’acqua fredda della Stura quasi come in una infinita acquasantiera, dalla Salga al Caldano e fino alla Francia, chiedevamo alle onde di questo mare amico di insegnarci a stare a galla, forse già pensando a quanto sarebbe stato poi utile saperlo fare da grandi, soprattutto fuori dall’acqua.
Con noi c’era spesso anche Tonino Dusnasco, mio vicino di casa. Se ne è andato l’anno scorso portando con sé un segreto d’amore, bello e terribile.
Riabbracciare la figlia Monica in un posto lontano dove finalmente anche il dolore e la sofferenza terreni sono , manzonianamente, solo silenzio e tenebre. Il mese scorso, in uno dei tanti pomeriggi infuocati di giugno, Monica ha raggiunto il suo papà.
Non trovo parole che riescano a consolare la mamma Rosanna. È ingiusto e crudele pensare che perdere un figlio o una figlia sia soltanto un grande dolore.
La nostra spiaggia
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