Ciò che ci siamo lasciati alle spalle è un retaggio pesante, che non vuole saperne di abbandonarci.
E il futuro che ci attende è ricco di talmente tante insidie da mozzare il respiro: il Covid nuovamente ad attenderci; la guerra e ciò che ci reca; il clima infuocato che ci dice ogni giorno quanto e come la Terra, da noi maltrattata, ci stia presentando il conto…
Abbiamo però il dovere di provare a reagire, pena una continua sopravvivenza fatta di pensieri sempre più bui e deprimenti.
Il tempo che si approssima, quello delle vacanze, può servirci per ricalibrare i nostri giorni.
Se da un lato non dobbiamo tuffarci in una sconsiderata voglia di vivere purché sia, ignorando ciò che stiamo vivendo, dall’altro corre l’obbligo di provare a staccarci dal rimuginio e dal vuoto peregrinare, imponendoci la sola via che ci è concessa, quella del qui e ora, tornando a considerare il tempo che maggiormente abbiamo ignorato nei recenti decenni: il presente.
Figli di costanti accelerazioni, immesse le nostre esistenze in una sorta di frullatore, il desiderio di ingoiare vita ci ha proiettato sistematicamente verso un futuro senza cornice, fuggendo in avanti, senza riuscire a capire più che cosa stiamo davvero facendo e che sapore abbia un istante.
E se, per un motivo qualsiasi, il gioco va a finire, e siamo chiamati a dover fare conti duri con la realtà, solo allora ci rendiamo conto di ciò che è stato assente nelle nostre ore spese all’inseguimento del superfluo e quanto poco abbiamo dato importanza al presente, a ciò che stavamo vivendo.
Quindi? Il tempo che si approssima proviamo a spenderlo per ritrovarci.
Da quanti secoli è che viviamo contratti, con le mascelle serrate, vittime di quella risposta che non siamo riusciti a dare come avremmo voluto, di tutte i compiti e le scadenze che ci attendono?
Avremmo bisogno di leggerezza e invece incrociamo sguardi sempre più feroci, incontriamo giudizi sempre più cattivi e sprezzanti.
Allora non rimane che concentrarsi sull’ hic et nunc, sul qui e ora, per provare a fuggire l’ansia della nostra precarietà.
Usiamo il tempo delle vacanze per provare a dimenticare passato e futuro, concentrandoci e assaporando soltanto il presente.
L’invito che dai tempi di Orazio ci viene – carpe diem – è quello di cogliere l’attimo, di sgombrare la mente ed essere presenti, vivendo ogni istante, riconoscendone confini e sapore.
Facile a dirsi, meno facile a farsi? Riflettiamo: ciò che è stato non possiamo più modificarlo e il futuro non è ancora qui. Quindi l’unico tempo nel quale possiamo creare, scegliere o non scegliere, essere artefici delle nostre fortune, è il presente.
Vivere il rimpianto, ipotizzare un incerto futuro ci consegna a un altrove che ci costringe nuovamente a vagare.
Riappropriarsi delle proprie giornate, riavere percezione del mondo che ci circonda, comprendere il contesto, riscoprire gli affetti più cari può consentirci di non dover attendere domani per provare a essere felici, anche perché spesso avviene che il futuro non corrisponda alle nostre aspettative.
L’unico tempo che può darci felicità è il presente, il resto o è la nostra storia, o è l’ignoto.
Non importa quanti giorni avremo a disposizione, se sarà mare o montagna, isolamento o calca: ciò che può aiutarci a ritrovare la serenità perduta, sarà provare a essere capaci di vivere, quella straordinaria meraviglia che la vita ci rinnova a ogni istante.
Se la vita è una commedia, be’, vale la pena di recitarla, battuta dopo battuta, dall’inizio alla fine, assaporando ogni momento. Se finora è stata la scala sporca d’un pollaio, bisogna provare a modificare il corso delle cose.
L’augurio che faccio a tutti noi è di usare il tempo prossimo per ritrovare vita: qui e ora.
Buone vacanze.
Qui e ora
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