Occorre un deciso cambio di passo.
Non è una mera questione di parole. Non è con esse o cambiando alcune di esse che si può modificare l’attuale essenza e l’incedere culturale del nostro Paese.
Non credo proprio possa bastare aggiungere alla connotazione del Ministero della Pubblica Istruzione il sostantivo “merito” per mutare d’emblée le cose.
Vero è che da qualche parte bisogna pur cominciare per prendere a scalfire trent’anni di riuscita distruzione d’uno degli impianti scolastici più validi e più invidiati al mondo.
Ma non è con un’operazione di maquillage che si può curare un malato grave.
Il Paese che vanta la più alta concentrazione di opere d’arte del pianeta, che è stato patria per secoli e secoli della miglior musica, ha fatto strame di cultura e istruzione e ha violato quanto sancito dall’articolo 34 della nostra Costituzione: “La scuola è aperta a tutti. (…) I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.”
Una balla colossale. Non è proprio vero che “i privi di mezzi” possono raggiungere i gradi più alti di istruzione: per uno che ci riesce, ce ne sono altri diecimila dispersi scolasticamente o analfabeti di ritorno.
La carriera docente è stata privata da tempo immemore di capacità attrattiva, tanto da risultare a volte un ripiego. Al confronto di altri colleghi europei, i nostri insegnanti sono tra i peggio pagati d’Europa, tra i più attempati e demotivati, frustrati ora da una burocrazia ammorbante, che mortifica e riduce l’azione pedagogica che dovrebbe essere sovrana e precipua. Conosco decine di ottimi insegnanti, dei veri resistenti, ai quali va la mia perenne gratitudine per l’enorme sforzo e lavoro prodotti, per l’amore e l’energia che provano a metterci, ma è il loro sguardo frustrato e spento a colpirmi.
In più, si evidenzia ora enormemente lo scollamento tra ruolo docente e ruolo discente, col primo a proporre metodi, codici, modelli e nozioni che paiono assolutamente estranei al secondo, e il livello di scolarizzazione ne sta risentendo in maniera palese, tanto da far risultare, a seguito delle prove INVALSI, i nostri tra i peggiori allievi del continente, molti di questi incapaci di comprendere un qualsivoglia testo e di esporre correttamente il loro pensiero. Grave che questi raggiungano senza preparazione e con scorie notevoli prima la maturità e poi la laurea triennale.
Vero, i ragazzi sono migliori di quanto non ipotizziamo a priori, ma stiamo facendo tanto per renderli peggiori.
Li abbiamo talmente imbottiti di stimoli che paiono non reagire più, o meglio reagiscono usando linguaggi diversi, che non capiamo e se proviamo a scimmiottarli, più che indirizzarci verso il futuro del metaverso, produciamo versi a metà. Guardare il contenuto di certi sfogatoi per capire, per comprendere come le nostre generazioni siano ben lungi da essere un modello.
Il pericolo è forte, forte assai, che si vada verso una società molto polarizzata, a struttura piramidale, con pochi eletti in grado di comprendere vari codici e capaci di esprimersi in più guise e che quindi potranno accedere a un’istruzione completa e formante, tale da garantire loro accesso a possibili proficue carriere. In basso, una società composta da individui in condizione di accedere a informazioni e di comunicare solo attraverso immagini.
Se non si cambia passo, potrebbe essere così.
Il merito? Una parola e basta.
Il merito
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