Non che gli addetti alle programmazioni concertistiche debbano tener conto dell’anno liturgico (per fortuna la musica è libera da qualsiasi condizionamento), però ci sono delle opere che ti aspetteresti proposte più frequentemente sotto Pasqua, o a Ognissanti, o a Natale… ecco perché ho fatto un salto scoprendo che per festeggiare l’inizio del nuovo anno l’Orchestra Filarmonica del Teatro Regio, gettatosi alle spalle il solito repertorio di valzer e polche, ha programmato un’esecuzione della Messa di Requiem di Giuseppe Verdi.
“Oh, benvenuta!”, mi sono detta. Non si fa fatica ad amarla, o addirittura a venerarla, in qualsiasi momento dell’anno. Tanto più che col passare del tempo ha perso in gran parte i suoi agganci strettamente liturgici per diventare qualcosa di molto simile ad un oratorio laico (come ad esempio la Nona Sinfonia di Beethoven).
Su questa rubrica ne ho già parlato, per cui oggi mi limiterò a ricordarne la fama. Scritta nel 1873-74 per onorare la memoria di Alessandro Manzoni, raggiunse subito una gran presa sul pubblico, e già all’indomani della prima esecuzione milanese del 22 maggio 1874 fioccavano le richieste di eseguirla in tutte le capitali europee. Questo malgrado l’inimicizia dichiarata di quello che allora si chiamava il “partito tedesco”; basti dire che un suo alto rappresentante allora residente a Milano, Hans von Bülow, ne disse peste e corna senza nemmeno averla sentita, definendola sprezzantemente “il suo ultimo melodramma in veste chiesastica”. Ma quando Johannes Brahms venne a conoscenza di tali affermazioni, volle esaminare lo spartito e dichiarò: “Il Bülow ha preso una cantonata, giacchè un’opera simile non la può scrivere che il genio”. Il grande amburghese, che pure si ispirava al contrappunto e alla più severa coralità luterana, era superiore a ogni tipo di pregiudizio artistico.
La prima città raggiunta fu Parigi, dove Verdi, in un clima trionfalistico che stupì lui per primo, ne diresse sette esecuzioni venendo fregiato con ulteriori decorazioni della Legion D’onore. Ma anche Londra, Vienna e Berlino chiedevano vivamente di poterla ascoltare, per cui si dovette organizzare una tournée vera e propria, forse la sola tournée a cui Verdi abbia mai accettato di partecipare, con al seguito la moglie Giuseppina, il fedele aiutante Muzio, e il quartetto di cantanti, che erano Stolz-Waldmann-Capponi-Maini. Durante un ulteriore passaggio da Parigi una giornalista americana, Blanche Roosevelt, inviò al suo giornale delle corrispondenze spumeggianti per gaiezza e frivolezza, in cui si mescolano dettagli sull’autore (“magro, dai capelli grigi, parlava mediante i movimenti rapidi e fluidi della mano guantata”) e sulle cantanti (“la Waldmann è persona amabilissima coi capelli d’oro e il volto ovale dolcissimo”…“mi chiesi se potevano esistere davvero dei capelli tanto belli e ramati come quelli della Stolz”… “i vestiti contavano ben poco, entrambe Stolz e Waldmann potrebbero imbacuccarsi in una coperta indiana e avere il mondo ai loro piedi”). La Roosevelt tentò invano di convincere Verdi a fare una tournée negli Stati Uniti: “No, patisco il mal di mare”, rispose lui per scusarsi.
La troupe proseguì per l’Albert Hall di Londra (a maggio), dove fece faville, e poi per l’Hofoperntheater di Vienna (giugno). Quando Verdi fu a Vienna, che non rivedeva dal lontano 1843, capì che quella era la tappa finale e più prestigiosa della sua trionfale tournée europea. L’11 giugno, alla presenza dell’Imperatore Francesco Giuseppe, ci fu la prima esecuzione, e fu un tripudio. L’imperatore insignì Verdi della “Croce di Commendatore” dopo di che Verdi “fu ricevuto in udienza e cordialmente intrattenuto da lui in una lunga conversazione”. Una cosa incredibile! L’antico nemico che insignisce della sua Croce l’antico patriota, e si intrattiene con lui cordialmente. A dimostrazione che l’arte vola al di sopra di tutto, persino delle ruggini e dei risentimenti politici. Certo la partecipazione di due cantanti di area austrotedesca, come Teresa Stolz e Maria Waldmann, fece da elegante trait-d’union fra lo stile italiano e quello mitteleuropeo, creando nel pubblico un tale entusiasmo che si dovettero dare delle esecuzioni supplementari. “Che buona orchestra, e che buoni cori! E come sono elastici, e si lasciano ben guidare” osservò stupefatto lo stesso Verdi.
Ma ancora più incredibile fu la visita effettuata da lui al Conservatorio di Vienna: “Volle visitare la Biblioteca, mostrando grande interesse alla notizia datagli dell’esistenza colà degli autografi di Beethoven, la cui scrittura non aveva mai vista” – così viene riferito dal Monthly Musical Record, giugno1875 – “Alla vista di una copia dell’Eroica con molte correzioni di pugno di Beethoven, non ebbe più occhi per altro, guardò, riguardò, esaminò, fermandosi a leggere i brani musicali che più amava…”
Un Verdi inedito, che forse non siamo abituati a considerare.
Una tournée europea del 1875
Per quel capolavoro che è la Messa da Requiem
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