“Uno sforzo massimo, un miracolo che non si sarebbe ripetuto mai più”: così André Ghéon parlando de “Le Nozze di Figaro” di Mozart.
Non gli si può dar torto, se si pensa all’assoluta novità costituita da questo testo: non un’opera buffa, ma una commedia con l’aggiunta di note. Dalla pièce di Beaumarchais (che per sottotitolo reca “La folle giornata”, tutto un programma!) Lorenzo Da Ponte, costretto per vari motivi a sfrondare le parti di denuncia sociale, che del resto a Mozart non interessavano, decise di porre in risalto la psicologia dei personaggi ricavando un amalgama di caratteri tanto convincenti da risultare la cosa più perfetta che dal repertorio della prosa sia mai passata all’opera lirica. Ed anche musicalmente costituì un irripetibile strappo alle regole, non poté fare scuola né aprire vie nuove, solo rimanere splendida ed isolata. Ancora cent’anni dopo “non riesco a capire come si possa scrivere qualcosa di così perfetto” diceva Brahms. Il fatto è che dal 1786 in poi, mentre i Paisiello, i Cimarosa, i Rossini, e persino i Donizetti, continuavano a percorrere i binari della consuetudine sfornando ottime opere buffe, nessuna poté mai avvicinarsi all’esempio mozartiano perché nessuna fu mai una commedia con aggiunta di note.
I sessi qui si affrontano e sfidano, ma persino nei momenti più gravi hanno il sorriso sulle labbra. Si osteggiano, si combattono, ma usano sempre le armi dell’astuzia. Uomini e donne, tendono al proprio fine egoistico e inseguono caparbi la loro felicità, ma non giungono mai a farsi davvero del male. L’uomo è cacciatore, però nell’inseguimento della preda sa che essa può anche rifiutarsi e sfuggirgli; la donna è una preda, ma maliziosamente capisce che ciò la valorizza e la rende quasi onnipotente. Del gioco più antico del mondo essi sanno tutto, ne colgono la forza e l’ironia, e persino quando il gioco si surriscalda, quando include colpi mancini, quando giunge l’ansia e qualche lacrima fa capolino, tutto poi sfuma nella disarmante dolcezza di chi – momento che ha del religioso – rinuncia a vendicarsi ed a punire.
Ah se gli attuali rozzi “machisti” avessero mai ascoltato “Le Nozze di Figaro”! Avrebbero compreso come siano assurde le loro pretenziose rivendicazioni, le loro feroci lotte contro l’Altra, e come l’uguaglianza fra i sessi sia scritta nella natura! Cosa che qui risulta chiara in quanto “dopo Mozart il mondo non vide più un compositore che fosse allo stesso tempo e allo stesso grado psicologo e musicista” (Ghéon). In effetti, insuperabile nella conoscenza dell’essere umano, Mozart fu anche e soprattutto un femminista avanti lettera.
Ed ecco che sotto i nostri occhi vediamo muoversi dei veri esseri umani, mai delle macchiette; ecco che dall’alambicco mozartiano vediamo distillarsi le delicate essenze della femminilità e della virilità: Susanna e la Contessa che si alleano complici, Cherubino che svolazza flirtando con questa e quella inseguito a sua volta da Barbarina, Marcellina che ritrova incredibilmente marito e figlio, lo zotico giardiniere Antonio che non cessa di imprecare, i due tediosi Bartolo e Basilio che inghiottono smacchi; il tutto con la regia astuta e versatile di Figaro, qui dotato di doti di simpatia esorbitanti.
Però, ancor più che su Figaro, il vero cardine gira sul Conte. Non tanto perché è lui che fa da motore all’azione, ma perché la musica, seguendolo passo a passo, trasforma quella sua “folle giornata” in una vera e propria avventura psicologica. Fra tutti, il suo comportamento è il più complesso e variegato: passa dall’attrazione all’affanno, dalla gelosia alla speranza, dalla collera alla mortificazione, dal sospetto al pentimento. È contemporaneamente beffatore e beffato, e se conosce la passione sensuale, a cui si abbandona, non gli è estranea quella, più pericolosa, intellettuale. Mozart spende per lui così tante note da sbalzare dell’uomo un ritratto indimenticabile. Non lo giudica – Mozart non giudica mai – e nemmeno lascia che noi lo giudichiamo. Colpevole e libertino, sì – ci dice – ma per esuberanza, non per cattiveria, visto che in fondo con le sue lune, le sue impazienze, le sue bizzarrie, è fatto della nostra stessa pasta. È stato Massimo Mila a notare che il Conte è il solo personaggio serio in un’opera gaia, il solo che sfiori, in certi momenti, la tragicità. Il timbro stesso della voce, che lo avvicina ed insieme lo contrappone a Figaro, ci dice cosa Mozart pensasse di lui: non un tenorino, non un vero basso: un Uomo!
Per questo ho sempre visto nel suo miscuglio di miele e di aceto il motivo principale della perfezione di un’opera a cui non ho mai saputo trovare un solo difetto… se non quello che mi fa esclamare, dopo tre ore di ascolto: ah che peccato! è già finita!
Non restando più spazio per parlare del lato musicale mi limito a ricordare che quest’opera esige la pronuncia di un italiano perfetto, senza sciatterie o sbavature, e segnalo, sia pure in ritardo, la nuova e bella edizione madrilena che ci è stata proposta dal Teatro Regio, una vera chicca per coloro che abbiano avuto la fortuna di assistervi.
“La folle giornata” è tornata a folleggiare
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