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sabato, Aprile 19, 2025

    Adolescence: ciò che gli adolescenti non dicono (ma postano)

    Un unico respiro, senza tagli, senza filtri, come se lo spettatore fosse proprio lì, accanto ai protagonisti, immerso nella storia che scorre senza tagli: Adolescence è tutto questo e qualcosa di più. La miniserie Netflix, girata interamente in piano sequenza, cattura fin dal primo istante perché ti obbliga a entrare emotivamente nella storia, a sentirla sulla pelle, a viverla insieme ai suoi protagonisti, in equilibrio instabile tra fragilità, errori e bisogno disperato di essere compresi.

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    Non è il solito racconto generazionale fatto di stereotipi o generalizzazioni: non tutti i ragazzi vivono drammi estremi, e sarebbe un errore ridurre una generazione intera ai problemi, per quanto gravi e drammatici, di alcuni. Eppure, proprio grazie a questa coinvolgente opera narrativa, la serie riesce a trasmettere qualcosa di autentico, che travalica la storia al centro (l’omicidio di un’adolescente), e che sposta il fuoco dell’attenzione sulle relazioni interpersonali e fragilità emotive. È un’emozione che scava in profondità, che fa riflettere e che chiede di sospendere il giudizio.

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    Uno dei temi più potenti, è il rapporto distopico tra ciò che vediamo sui social media e la realtà che quelle interazioni mascherano. Nella serie, la tragica vicenda viene inizialmente fraintesa dagli investigatori proprio perché si fermano a un’analisi superficiale dei commenti Instagram e dei rapporti online, credendo erroneamente che Jamie, l’adolescente sospettato, fosse in buoni rapporti con la vittima. La realtà era drammaticamente diversa: Jamie era sistematicamente bullizzato dalle compagne di scuola che lo avevano brutalmente etichettato come “Incel”, una parola oggi diffusa per indicare uomini giovani isolati e frustrati, incapaci – o ritenuti tali – di stabilire relazioni affettive e sessuali.

    Adolescence pone così una riflessione profonda sull’ambiguità delle interazioni digitali: un commento positivo o neutro sotto un post può nascondere indifferenza, disprezzo o addirittura violenza psicologica. Il linguaggio dei social, rapido, sintetico, spesso criptico, non può essere interpretato senza un’adeguata contestualizzazione emotiva e relazionale.

    L’uso compulsivo degli smartphone nelle scuole rappresenta un altro punto chiave affrontato nella serie. Quello che accade nelle scuole inglesi rappresentate nella fiction non è una semplice esagerazione: i cellulari diventano strumenti di spettacolarizzazione della sofferenza e della violenza. Gli studenti, invece di intervenire durante episodi di bullismo o violenza, filmano e condividono immediatamente i contenuti. Questo fenomeno, sebbene estremo nella rappresentazione anglosassone, non è estraneo alla nostra realtà italiana, dove sempre più spesso emerge la stessa inquietante modalità di gestione dei conflitti, diventata purtroppo routine anche tra i nostri adolescenti.

    La serie affronta con efficacia anche la pressione insostenibile generata dai canoni estetici dominanti sui social media. Jamie stesso incarna un modello di mascolinità tossica, figlia di insicurezze, rabbia e isolamento emotivo. Questo tema emerge con grande intensità nella scena della valutazione psicologica, momento chiave per capire quanto siano profonde le cicatrici lasciate da aspettative sociali irraggiungibili e da stereotipi di genere che intrappolano tanti i giovani in comportamenti autolesionistici o violenti.

    Ma ciò che rende Adolescence così autenticamente emotiva è il modo in cui racconta le conseguenze di un dramma giovanile sulla famiglia. Il racconto avviene attraverso lo stoico tentativo della sorella maggiore di nascondere la vergogna di ciò che è accaduto alla famiglia, il padre vittima di atti vandalici e la fragilità emotiva del rapporto di coppia dei genitori, la serie ci ricorda come nessun dolore resti mai isolato, ma finisca inevitabilmente per coinvolgere chiunque sia vicino, lasciando segni profondi e talvolta indelebili.

    Ciò che rende questa serie tanto importante è il realismo con cui vengono trattati temi difficili e sensibili. Sarebbe rassicurante dire che certe realtà raccontate sono lontane da noi, tipiche solo di contesti urbani anglosassoni, ma non è così. Anche nella nostra provincia italiana, episodi di bullismo e cyberbullismo sono purtroppo sempre più frequenti.

    Cosa fare dunque? La risposta non è semplice, ma una cosa è certa: non possiamo lasciare i nostri figli soli di fronte agli smartphone e ai social media, soprattutto in età delicate come la preadolescenza e l’adolescenza. Serve trovare un equilibrio tra il diritto alla privacy e all’identità personale, che proprio in quegli anni delicati prende forma, e il dovere di vigilanza e sicurezza che ci spetta come adulti.

    La pressione psicologica esercitata dagli strumenti digitali è particolarmente insidiosa perché entra silenziosa nelle nostre case, minacciando proprio quegli spazi che dovrebbero essere sicuri. Insegnare ai ragazzi e alle ragazze a disconnettersi, a prendere distanza emotiva dal digitale, non è solo un atto necessario di prevenzione: è un modo di insegnare loro a proteggere la propria salute mentale ed emotiva, a riconoscere la propria vulnerabilità come un valore da custodire e non come una debolezza da nascondere.

    Adolescence ci invita a guardare dentro una realtà che esiste, che non dobbiamo enfatizzare ma nemmeno ignorare, e che abbiamo la responsabilità di affrontare con razionalità e competenza, prima di tutto ascoltando i ragazzi e cercando di comprenderli veramente.

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