Cosa rende un film degno di un Oscar? Qualità a livello artistico, impatto culturale, trama e messaggio oppure una combinazione di tutti questi elementi? Qualunque sia la risposta, ogni anno escono moltissimi film ed è inevitabile che ci siano titoli che nonostante il loro valore finiscano per ricevere meno attenzioni del previsto. A differenza degli anni precedenti dove un film fin dall’inizio si presentava più degli altri come il favorito della stagione dei premi, quest’anno ci sono stati moltissimi candidati validi sulla carta, così tanti da portare all’esclusione di alcuni ottimi film dalle varie liste di candidature come “Vermiglio”, lungometraggio italiano scritto e diretto da Maura Delpero, e “Kneecap”, sulla storia del trio hip-hop irlandese, entrambi presentati nella shortlist della sezione miglior film internazionale. Altre pellicole invece sono passate in sordina nonostante le candidature come nel caso di “Sing Sing”. Non si tratta del film del 1983 di Sergio Corbucci dove i protagonisti, interpretati da Montesano e Celentano, scappano da questa famosa prigione con le loro casacche a strisce. “Sing Sing” è un film drammatico sul programma di recitazione che si tiene nell’omonimo carcere americano. Prodotto da A24 dopo che l’accoppiata regista-sceneggiatore formata da Greg Kwedar e Clint Bentley ha sviluppato questo progetto dall’articolo “The Sing Sing Follies” di John H. Richardson pubblicato da Esquire nel 2005. Ѐ un film con una sensibilità che va oltre le parole, le azioni e i pregiudizi, mostrando il potere dell’arte come metodo curativo e via d’uscita. Racconta del vero programma di recitazione del carcere Sing Sing attraverso Divine G, interpretato da un sensazionale Colman Domingo che si guadagna una candidatura come miglior attore protagonista, Clarence “Divine Eye” Maclin nei panni di se stesso e altri ex-detenuti, studenti del programma durante il loro periodo in Sing Sing. Gli spettacoli teatrali di questa compagnia gli permettono di vivere diverse realtà e poter scappare almeno con la mente dalle condizioni in cui si trovano. Mettendo sotto i riflettori la recitazione il film riesce a smontare i pregiudizi verso queste realtà, come quando durante le audizioni dei detenuti per i ruoli della commedia uno di loro dichiara di aver recitato una parte per tutta la vita, evidenziando quanto possa essere dannosa l’idea preconcetta e standardizzata che la società ha scelto per lui; successivamente quando Divine G ottiene un colloquio per la revisione della pena che gli è stata assegnata ingiustamente, raccontando i valori del programma ottiene un riscontro negativo dalla commissione che lo accusa di star recitando una parte per convincerli a modificare la pena al posto di vedere il cambiamento sincero della persona che hanno davanti. Si tratta di una pellicola estremamente valida con una sceneggiatura e un’estetica meravigliosa, data dall’utilizzo della pellicola 16mm scelta dal cinematografo Pat Scola che inonda ogni ripresa di luce e restituisce allo spettatore le scene di questa realtà con delicatezza e naturalezza. Indipendentemente dall’esito della premiazione, spero che questo film possa ottenere l’attenzione che si merita, soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo dove i pregiudizi prevalgono, e perché è stato in grado di dare voce a chi spesso è stato ignorato dimostrandosi una testimonianza del potere dell’arte di trasformare, educare ed emozionare, statuette o no.