Un viaggio è per sempre quando porta a rinascite inattese”, Anja Wenger
Nel nostro viaggio in India nello stato di Gujarat avremmo voluto portare con noi Momo, il il gatto di Anja, ma in una città dichiarata vegetariana diventava difficile trovargli qualcosa da mangiare – lui non mangia fagioli e lenticchie, o carote e cipolle.
Secondo la religione Jain, una delle più antiche al mondo, la cura e il rispetto verso tutti gli esseri viventi sono fondamentali per potersi liberare dal ciclo delle rinascite, che è lo scopo di ogni anima.
A seguito di una battaglia pacifica attraverso uno sciopero della fame dei monaci Jain, il governo del Gujarat nel 2014 ha emanato una legge che obbliga ogni cittadino di Palitana a essere vegetariano
In tutto il territorio indiano si contano più di 5 milioni di fedeli Jain, e Palitana ne è il più grande luogo di pellegrinaggio, un po’ come il nostro Vaticano.
Jainismo
Per capire la scelta del vegetarianesimo in questa città bisogna spiegare da dove deriva. Il Jainismo è una religione indiana, che si basa sugli insegnamenti di Mahāvīra, il «grande eroe». Si tratta del soprannome di Vardhaman, vissuto tra il 599 e il 527 a.C e ultimo di una serie di 24 altri maestri o Tīrthankara. Di nobile origine, dopo 12 anni di vita da mendicante Mahavīra ottiene l’illuminazione che trasmette ai suoi discepoli. Il mondo consiste di innumerevoli anime e della materia; quest’ultima si trasforma continuamente a seconda dell’anima che le dà vita, l’anima percorre un ciclo di esistenze da cui solo mediante l’illuminazione si può liberare.
La via principale alla salvezza è nell’ascetismo che viene praticato dai monaci Jain: essi non hanno alcuna proprietà privata, se non un recipiente per le elemosine, un fazzoletto, un abito e una scopa per rimuovere dal proprio cammino i piccoli esseri viventi affinché non subiscano offesa. Il non uccidere è la loro regola principale, cui si aggiungono il tenersi lontani dall’errore e dalla menzogna e la castità assoluta.
Il culto consiste, oltre che nelle prediche, anche in sacrifici, naturalmente incruenti, offerti ai maestri che vengono considerati quasi come divinità. Il testo sacro è il Siddhanta, formatosi lungo i secoli e canonizzato nel V secolo d.C. E’ accettato dalla setta degli Svetambara, ovvero monaci vestiti di bianco, viene però respinto dall’altra setta – più rigorosa – dei Digambara, ovvero monaci vestiti d’aria, cioè nudi.
La collina di Shatrunjaya
Il sito di Shatrunjaya è considerato la collina con il maggior numero di templi al mondo.
Grazie all’altitudine, circa 600 metri, le colline ricevono una discreta quantità di precipitazioni durante la stagione dei monsoni, e questo favorisce la crescita di alberi ritenuti sacri come quello di Asoka o l’albero di Chaitra, e di arbusti di gelsomino.
I templi Jainisti
Con i suoi 863 templi il complesso il cui nome significa “Luogo della vittoria” è considerato come una tappa fondamentale per i pellegrini che lo vengono a visitare. La visita diventa impegnativa poiché per arrivare alla cima della collina bisogna salire gli oltre 3.700 gradini. I pellegrini li fanno a piedi con un cammino che dura oltre due ore, ma esiste anche la possibilità di farsi portare con un dholi, come abbiamo fatto noi: praticamente una sedia legata a due tronchi di bambù e portati a spalla da vigorosi giovanotti.
La storia
I templi sulla collina sono stati costruiti nel corso di un periodo di circa 1000 anni. Il primo tempio Jainista è stato costruito nell’XI secolo, ed è dedicato al primo Tirthankara, Rishaba Dev, che ha consegnato il suo primo sermone in cima alla collina. Poiché veniva chiamato anche Adinath, il tempio può essere indicato come il Tempio di Adinath. I templi sono raggruppati in quelli che vengono chiamati tuk o recinti. Ognuno dei nove tuk ha un tempio principale, circondato da un gruppo di santuari più piccoli e minori. Il santuario principale ha sempre una grande sala per discorsi, oltre a altre sale con ampie porte su tutti e quattro i lati, in modo che i fedeli possano avere una buona visione degli idoli e delle immagini custodite all’interno, come è stato ordinato dal primo Tirthankara nel suo discorso.
Il Tempio Adinath si trova al culmine della collina più grande ed è il tempio principale, con motivi decorativi e fregi ornamentali di draghi nelle sale di preghiera che lo rendono architettonicamente interessante. La leggenda narra che gli artigiani e gli intagliatori venissero pagati pesando la polvere di marmo raccolta dopo aver scolpito il marmo con fili abrasivi e scalpelli.
Nel 1311, l’esercito invasore turco di Allaudin Khilji distrusse molti templi sulla collina di Shatrunjaya. Fu durante questa invasione che Amir Pir, un santo sufi islamico, che rispettava la santità di tutti i luoghi di culto, resistette agli oppressori e salvò molti templi dalla distruzione. Oggi, le coppie che non sono in grado di concepire bambini pregano davanti al santuario costruito sopra la sua tomba e offrono culle in miniatura al santo, in cerca della sua benedizione.
In seguito i devoti cominciarono a ricostruire i templi sotto la spinta del mecenate Samara Shah, un ricco commerciante Jain. La maggior parte dei templi sono costruiti con marmo bianco per indicare la purezza. Due secoli più tardi, nel 1593, il capo dell’ordine monastico Svetambara, Hiravijaysuri, organizzò un pellegrinaggio alla collina di Shatrunjaya. La ricostruzione ricevette un nuovo forte impulso con ricchi uomini d’affari, come Tejpal Soni, che finanziarono nuove costruzioni e ristrutturazioni.
Nel 1656 il commerciante Shantidas Jhaveri riuscì ad ottenere in concessione la proprietà del villaggio di Palitana. L’Anandji Kalyanji Trust, la più antica e potente associazione jainista, ha assunto il controllo dello sviluppo della città e dei templi nel 1730. La maggior parte degli edifici che si vedono oggi sono stati rinnovati o costruiti prima del XVI secolo. Molti dei templi successivi sono stati chiamati con i nomi dei ricchi uomini d’affari che li hanno finanziati. Le grandi donazioni da parte della comunità hanno assicurato che i templi siano ben conservati.
I visitatori non devono portare cibo o acqua, e non devono indossare scarpe, cinture o altri oggetti di cuoio in rispetto delle regole Jain, il silenzio, per quanto possibile, viene mantenuto durante l’ascesa alla collina tranne per i canti e le preghiere.