Questo mese il nostro notaio, il dottor Gabriele Naddeo, pone in rilievo un’ordinanza e due sentenze della Suprema Corte di Cassazione relative al sostegno delle persone fragili, del diritto di uso condominiale e fa ulteriore chiarezza su eredi che ereditino situazioni alquanto compromesse. Buona lettura.
Cassazione, ordinanza 31 dicembre 2020, n. 29981, sez. I civile
Per quanto una persona sia fragile, seppur non incapace, per la Corte di Cassazione non è necessario procedere alla nomina di un amministratore di sostegno, purché tale persona abbia alle sue spalle una forte e protettiva rete familiare. In tema di amministrazione di sostegno, l’equilibrio della decisione deve essere garantito dalla necessità di privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione della persona interessata, così da discernere le fattispecie a seconda dei casi: se cioè la pur riscontrata esigenza di protezione della persona (capace ma in stato di fragilità) risulti già assicurata da una rete familiare all’uopo organizzata e funzionale, oppure se, al contrario, non vi sia per essa alcun supporto e alcuna diversa adeguata tutela; nel secondo caso il ricorso all’istituto può essere giustificato, mentre nel primo non lo è affatto, in ispecie ove all’attivazione si opponga, in modo giustificato, la stessa persona del cui interesse si discute.
Cassazione, sentenza 17 dicembre 2020, n. 28972, sez. Unite Civili
La Corte di Cassazione si occupa in maniera unitaria della questione del famoso “diritto di uso condominiale”: a tal riguardo, correttamente, non dà una soluzione preconfezionata ma invita ad analizzare, di volta in volta, il contenuto del contratto o del regolamento di condominio. La pattuizione avente ad oggetto l’attribuzione del cd. “diritto reale di uso esclusivo” su una porzione di cortile condominiale, costituente, come tale, parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, idoneo ad incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’art. 1102 c.c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del “numerus clausus” dei diritti reali e della tipicità di essi. Ne consegue che il titolo negoziale che siffatta attribuzione abbia contemplato implica di verificare, nel rispetto dei criteri di ermeneutica applicabili, se, al momento di costituzione del condominio, le parti non abbiano voluto trasferire la proprietà ovvero, sussistendone i presupposti normativi previsti e, se del caso, attraverso l’applicazione dell’art. 1419 c.c., costituire un diritto reale d’uso ex art. 1021 c.c. ovvero, ancora se sussistano i presupposti, ex art. 1424 c.c., per la conversione del contratto volto alla creazione del diritto reale di uso esclusivo in contratto avente ad oggetto la concessione di un uso esclusivo e perpetuo (ovviamente “inter partes”) di natura obbligatoria.
Cassazione, sentenza 22 dicembre 2020, n. 29252, sez. II civile
Con questa sentenza, la Corte di Cassazione toglie i dubbi circa la pericolosa interpretazione in precedenza fatta dalla medesima corte, secondo cui, in caso di beneficio di inventario, l’erede – pur rispondendo nei limiti del valore dei beni ereditari – poteva essere chiamato a pagare anche con i propri beni. A seguito dell’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, prescritta, a pena di inammissibilità dell’azione, dall’art. 564 c.c., l’erede beneficiato risponde dei debiti ereditari e dei legati non solo “intra vires hereditatis”, e cioè non oltre il valore dei beni a lui pervenuti a titolo di successione, ma altresì esclusivamente “cum viribus hereditatis”, con esclusione cioè della responsabilità patrimoniale in ordine a tutti gli altri suoi beni, che i creditori ereditari e i legatari non possono aggredire, sicché già in fase antecedente l’esecuzione forzata è preclusa ogni misura anche cautelare sui beni propri dell’erede, vale a dire diversi da quelli a lui provenienti dalla successione.