Durante una breve gita fuori porta al Sacro Monte di Belmonte, mi sono imbattuto in un libro che mi ha attratto fin dalla sua copertina: l’autore, Angelo Paviolo, lo ha titolato “Canischio e la sua gente”.
Alazi la mano chi conosce e bene Canischio, eppure è uno dei 315 Comuni della Città Metropolitana di Torino ed è posto proprio nel nostro bel Canavese, ai piedi di uno dei più bei paesaggi piemontesi: il Gran Paradiso.
Ho preso a sfogliare le pagine, sempre più interessato: storia, racconti, vicende umane e fra queste una su tutte mi ha mi ha attratto, quella di Giovanni Ferro. Ma Giovanni Ferro, sarà mica il papà di Silvana Ferro? Certo che sì. Silvana Ferro, coniugata con Silvano Covacci, è casellese da sempre, una coppia eccezionale per modestia e generosità. Silvana è impegnata nel volontariato parrocchiale e nel generoso mondo solidale del bene porta a porta. Lei e il marito, cittadini di cui Caselle deve vantarsi.
Il papà di Silvana è citato in questo libro per un grande gesto di generosità -buon sangue non mente…- ed è bello ricordarlo.
Il racconto a lui dedicato narra di un episodio legato alla seconda guerra mondiale e leggendo il testo del libro si trova: “Settembre 1943: su uno dei tristi, tragici convogli ferroviari che trasportano verso i lager tedeschi i soldati italiani c’è Giovanni Ferro, alpino reduce dalla Russia.” Il racconto poi fila liscio sulle avventure/disavventure di quell’uomo di poco più di venti anni, ma la sorpresa è dietro l’angolo.
Nella ritirata sui vagoni bestiame, c’è anche un ragazzo polacco di nome Marco Herman, ebreo, proveniente da uno di quei ghetti polacchi dove i tedeschi hanno distrutto, rubato, razziato, ucciso e deportato uomini, donne, bambini.
Si racconta nel libro che Marco era rimasto solo al mondo. La sua famiglia? Gli Alpini italiani.
Marco sapeva bene cosa lo aspettava se lo avessero trovato i tedeschi, sapeva che “sarebbe passato per il camino”.
La misericordia di Dio è grande, anche se spesso ha bisogno di un atto di bontà dell’uomo per entrare in azione.
La situazione era sempre più critica, intorno al treno brulicavano i tedeschi, tuttavia l’Alpino Giovanni Ferro, non ha esitato a sfidare tutto e tutti: ha consegnato a Marco i pochi soldi che aveva, e sopratutto un biglietto con su scritto: “Verona-Milano-Torino-Cuorgnè-Canischio” ed un altro biglietto indirizzato al padre- Domenico Ferro – che diceva: “Caro papà, questo ragazzo vi darà mie notizie: voi accoglietelo come se fossi io”.
Il racconto poi dice dei lunghi tempi di arrivo a Canischio di Marco, e di come la famiglia Ferro gli offrì ospitalità e lo seguì nei lunghi anni di permanenza canavesana.
Giovanni era partito soldato nel 1935 e venne restituito alla vita civile dieci anni dopo, nell’ottobre del 1945.
Con la modestia degli uomini dal forte carattere, come lo sono i nativi delle nostre Alpi e gli Alpini, Giovanni non volle mai parlare di quei tempi e di quelle avventure. Si sposò con Maria Barbara e dal matrimonio nacquero cinque figlie, di cui una è la nostra concittadina Silvana.
Di quel Marco che lui aveva salvato, non ebbe più notizie fino al 1961, anno in cui si poterono incontrare a Canischio con infinita gioia e commozione.
Giovanni morì a soli sessantadue anni e dieci glieli aveva presi la guerra e i suoi postumi.
Bellissima la conclusione dell’autore del libro: “Giovanni Ferro se ne andò in silenzio, testimone della notte più oscura della storia dell’uomo, che però lascia una luce che nasce dal cuore dei semplici, che fanno il bene non per avere un premio, ma per il bene.”