Sappiamo che il rapporto tra genitori e figli adolescenti non è sempre disteso. Se a questo clima a volte turbolento aggiungiamo quello che si instaura tra il proprio figlio e il suo allenatore/tecnico, ecco che il problema si complica. Per vari motivi i genitori, soprattutto oggi, tendono ad essere iperprotettivi, con la poco desiderabile conseguenza di impedire ai loro figli di accrescere la loro capacità, di adattarsi al mondo attuale e di poter strutturare le necessarie difese psicologiche. È il superamento degli ostacoli che ci rende consapevoli del nostro valore. Per questo è importante fare tesoro delle inevitabili frustrazioni e nello stesso tempo sapere di non essere trascurati da chi sentiamo più a noi vicino. Verosimilmente i genitori sono gelosi della loro competenza di educatori e non amano vedersela sminuire da un possibile atteggiamento prevaricante del tecnico. Un modo che si è rivelato utile per conciliare le distinte visioni pedagogiche è quello di rendere esplicite, con l’utile mediazione psicologica, le due diverse esigenze e i motivi che le rendono tali.
E allora come possono aiutarsi vicendevolmente genitori e allenatori per responsabilizzare i giovani sportivi?
Sarebbe opportuno lasciare che i ragazzi possano sbagliare, ma consentir loro di apprendere dagli errori senza investirli con le critiche o i pregiudizi. Il timore di sbagliare fa peggiorare le prestazioni e non permette all’atleta di dare il meglio di sé. Il detto che afferma “sbagliando si impara” indica il percorso di crescita naturale purché il contesto organizzativo aiuti il soggetto a riconoscere l’errore o l’inadeguatezza e lo doti dei mezzi idonei per superarli, mettendo in evidenza che spetta a lui, assumendosene la responsabilità, di far tesoro degli insegnamenti.
Un buon consiglio è ascoltare per comprendere quali siano i loro effettivi bisogni, piuttosto che pretendere di veder confermate le proprie aspettative.
Se lo sport è svolto a livello agonistico molto spesso i genitori, volendo assistere al successo dei loro figli, tendono ad assillarli con incitamenti o ad umiliarli con confronti impropri, rischiando così di deprimerli anziché incoraggiarli. Nel contesto competitivo sarebbe bene che i genitori si limitassero a partecipare con convinzione agli eventi consentendo all’allenatore di svolgere liberamente e senza intromissioni il suo ruolo di tecnico. In questo modo potrebbero gratificare il figlio seguendolo, ascoltando senza banalizzare i suoi problemi, ma condividendo le sue le emozioni siano esse positive o negative.
È utile ricordare che è poco produttivo fornire possibili soluzioni, a meno che non siano richieste. Probabilmente in questo caso non riguardano il comportamento atletico che è invece responsabilità dell’allenatore. Sembra anche utile farsi raccontare la sua visione delle cose e le ragioni del suo eventuale insuccesso. A volte un sorriso di comprensione o un abbraccio silenzioso sono più efficaci di un ragionamento seppur benevolo.
Il ruolo dei genitori
Psicologia & Sport