Premo play sulla mia playlist e il suono di “Praying” di Kesha mi avvolge, una melodia che parla di forza, rinascita e della brutalità della violenza subita, ma anche della potenza di chi riesce a risalire. Inizia così un altro capitolo di “Fatti di Musica”, un racconto che non è solo di musica, ma di vita, di emozioni che si intrecciano, di storie che meriterebbero di essere ascoltate.
Oggi voglio raccontarvi qualcosa di diverso, che va oltre il concerto, la fotografia, la passione per la musica. Voglio parlarvi di una vicenda che ha colpito profondamente, che mi ha fatto riflettere sul ruolo che ciascuno di noi può avere nel combattere le ingiustizie e le violenze. La storia di una ragazza di Borgaro Torinese, vittima di un fotografo, uno dei fotografi ufficiali di una band storica del panorama musicale torinese e italiano. Un uomo, un fotografo di concerti, che avrebbe dovuto raccontare emozioni, ma che, invece, ha scelto di infliggere dolore.
Quando la sentenza è arrivata, il fotografo è stato condannato a dieci mesi di reclusione. Ma, come spesso accade in questi casi, la pena è stata sospesa. Un incensurato, secondo il tribunale, non merita di pagare realmente per quello che ha fatto. Ma c’è qualcosa che non torna in questa logica. Come possiamo accettare che chi ha inflitto violenza possa essere perdonato così facilmente? Dove va a finire la dignità di chi ha subito, la giustizia che si cerca di ottenere per tutte le donne che lottano ogni giorno contro soprusi e violenze? La vicenda è tragica, ma come sempre accade in situazioni simili, dobbiamo usare la musica per dar voce a chi non riesce a parlare.
Proprio in questi giorni, mentre stavo scrivendo queste righe, una canzone mi ha distratto, mi ha fatto fermare a riflettere. “Like a Prayer” di Madonna, una canzone potente che esplode in un messaggio di liberazione, di presa di coscienza. È in momenti come questi che la musica riesce a farti sentire meno solo, a darti una sensazione di forza che non avresti mai pensato di possedere. Quella sensazione che ti fa dire “basta, non voglio più stare in silenzio”.
Tornando a quella sera, ricordo il concerto dei Mobb Deep, un evento che ha trasformato Torino in una delle zone più iconiche del Queens di New York. Un viaggio musicale che mi ha riportato agli anni in cui ero giovane, quando l’Hip Hop parlava della vita che si viveva ogni giorno nelle strade di una città che non perdonava. I Mobb Deep, uno dei gruppi più importanti della scena Hip Hop, hanno fatto la storia con i loro testi crudi e potenti. Prodigy, purtroppo, non è più con noi, ma la sua eredità musicale rimane immortale. La sua morte prematura ci ha lasciato un vuoto, ma il gruppo ha continuato a portare avanti la sua eredità. In quella serata, il palco era dominato da Havoc, la mente musicale dietro al duo, che ha gestito la consolle con la sua solita potenza e precisione. Al microfono c’erano DJ Les e Big Noyd, che hanno continuato a portare avanti il messaggio di Mobb Deep, unendo il pubblico in un’esperienza che sembrava trasportarci direttamente nelle strade del Queens.
Quando li ho visti sul palco, la sala sembrava di diventare parte di quel racconto, come se fossimo tutti trasportati indietro nel tempo. Torino, per una notte, non era più una città piemontese, ma una strada di New York, un pezzo di quell’America che ti entra nelle vene con la sua rabbia e la sua speranza. È stato un concerto che mi ha colpito nel profondo, un incontro che è diventato personale non solo per il ricordo delle loro canzoni, ma anche per la connessione che ho sentito con gli artisti. Quando, poco dopo, mi hanno contattato in privato, chiedendomi non solo le foto del concerto ma anche una collaborazione su Instagram, è stato un sogno che si realizzava. Non è la prima volta che le mie foto volano oltre l’oceano, ma ogni volta è un’emozione unica. È incredibile pensare che quelle immagini, che raccontano un pezzo della mia vita, ora appartengano a una storia che va oltre le frontiere.
E mi viene in mente che, forse, proprio questo è il potere della musica. Unisce, avvicina, emoziona. La musica è un linguaggio universale che non ha bisogno di traduzioni. Mi viene da pensare a quante donne potrebbero ritrovare la loro forza nella musica, a quante storie di violenza potrebbero essere raccontate attraverso le note, come se ogni canzone fosse una carezza che tocca il cuore di chi ha sofferto.
E allora voglio chiudere queste righe con un messaggio forte e chiaro. A tutte le donne che hanno subito violenza, non abbiate paura. Denunciate! Non restate in silenzio. La solidarietà di chi vi sta vicino è un’arma potente, e anche la musica può aiutarvi a trovare il coraggio di prendere la parola.
E per finire, una canzone che ancora una volta mi fa pensare alla forza che tutte noi, uomini e donne, possiamo trovare dentro di noi, nonostante tutto. “I Will Survive” di Gloria Gaynor. Un inno di resilienza, di coraggio, che non smetterò mai di ascoltare, ogni volta che voglio ricordare che possiamo superare anche le prove più difficili.
Ci vediamo al prossimo capitolo di Fatti di Musica.