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“San Maurizio, presenta un aspetto molto simpatico e signorile”

Nel 1878 Antonino Bertolotti nelle sue “Passeggiate nel Canavese” la descriveva così

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Più volte su queste pagine sono state trascritte le interessanti notizie che gli scrittori ottocenteschi riportavano nelle loro varie guide, statistiche o dizionari, a cominciare dall’importante “Dizionario geografico statistico commerciale degli Stati di S.M. il re di Sardegna”, compilata da Goffredo Casalis nel 1841, e che oggi sono utilissime nelle ricerche storiche locali.
Fra queste mancava ancora la descrizione di San Maurizio fatta da Antonino Bertolotti (Lombardore 16 marzo 1834 – Mantova il 22 maggio 1893) nella sua importante e travagliata opera in otto volumi dal titolo “Passeggiate nel Canavese”, edito tra il 1867 e il 1878, che descrive tutti i paesi canavesani, approfondendo in modo particolare la loro storia, scritta, come lui stesso dice, non come la “maggior parte delle corografie storiche compilate comodamente sui libri altrui”, ma sulla base di sue personali e minuziose ricerche d’archivio che in più casi riportano antichi documenti ormai oggi dispersi.
Questo rende l’opera del Bertolotti particolarmente importante per la storia locale canavesana, tanto da essere considerata, insieme alle descrizioni del Casalis, un’ottima base di partenza per chi vuole addentrarsi nelle ricerche storiche dei nostri paesi.
Il capitolo scritto su San Maurizio è molto lungo e su queste due pagine non c’è lo spazio sufficiente per riportarlo tutto, così questo mese leggiamo solo quanto Bertolotti scrisse su come si presentava il paese ai suoi tempi con alcuni accenni alla storia, che l’autore poi riprende ampiamente, insieme alle vicende del campo militare della Vauda e dei personaggi celebri del paese, che verranno pubblicate in una prossima puntata.

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Questo borgo è noto non soltanto in tutta Italia, ancora per tutta l’Europa, e direi anche presso tutte le nazioni più incivilite; e ciò fu pel campo militare, a cui dà il nome.
Prima dell’unione nazionale il Re di Sardegna radunava in esso i suoi reggimenti pelle esercitazioni militari, e sovente alle medesime erano spettatori rappresentanti di estere potenze. Molti commendarono quel piccolo ma forte esercito, a cui ben poteva attribuirsi il classico: Exigui numero sed bello vivida virtus.
E fu quell’esercito, che sostenne poi la guerra contro l’Austria, vincendo la brillante battaglia di Goito, e fu quell’artiglieria, tenuta come un gioiello, che costrinse Peschiera a rendersi. Ma della landa, che serve di campo militare, parleremo a suo luogo, ora occupiamoci del borgo.

Il territorio
Il territorio di S. Morizio ha una superficie di ettari 1.751, in piano con naturale declivio verso levante e mezzodì; è intersecato da due strade, di cui una da levante a ponente per Lanzo chilometri 14 e Chivasso chilometri 26; l’altra da ostro a borea, pella quale da Torino viensi alle Vaude, e poi a Cuorgnè.
La ferrovia Torino-Ciriè ha in S. Morizio stazione.
Due canali, derivati dallo Stura, servono all’irrigazione ed all’industria, de’ quali il più grande nelle dirotte pioggie talvolta trabocca nella via maestra.
Lo suolo è per natura ghiaioso, ma l’adacquamento ed il concime lo rendono assai fertile, e così dà in copia cereali, legumi, patate e fieno.
La vite, i noci ed il gelso prosperano; ma i vini riescono mediocri pel troppo adacquare. Buone praterie e per ciò ottimo bestiame; non mancano i boschi.
Si è constatato che l’agro di S. Morizio è raramente vittima della grandine.
Il cav. Arcozzi Masino, distintissimo agronomo, in una sua operetta ragiona così intorno all’agricoltura di S. Maurizio e dintorni:
« Le campagne . . . non danno prova molto edificante del progresso agricolo del paese. Condannate alla perpetua alternanza di meliga e frumento, frumento e meliga, affamate di concimi, lasciano spesso la fame in chi le coltiva. Vogliono costoro da quelle sciagurate terre, noci, foglie, fagiuoli, uva, cereali e tutto questo nello stesso tempo. Allagano la pianura per le melighe e pretendono dalla vite abbondanza di uva ed un divorzio assoluto dalla crittogama senza l’intervento dello zolfo. Fanno succedere cereali a cereali dal dì che la Stura si è ristretta nell’attuale suo letto, senza conforto d’ingrassi, con qualche stentato rovescio di lupini in ogni morte di Papa e gridano se il raccolto non paga le spese!
… Certi sedicenti prati da acqua, sui quali scorre a capriccio di tempo e di misura l’acqua per tutto l’anno senz’ombra di livellazione o tentativi di scoli regolari, ove i carici, i rumici e tutta la plebea famiglia delle mali erbe domina sovrana, non dico che si possano ridurre in breve tempo come prati lombardi, ma con fossi di scolo più larghi e profondi, con meno prodigalità di acque, con qualche accenno di livello è indubitato che migliorerebbero di molto e nella quantità e nella qualità del fieno. »
Riportai quanto sovra affinché si sappia rimediare, prendendo ad esempio i poderi dello scrittore stesso, cioè la sua cascina1, in cui vedesi ogni coltivazione distribuita con sano criterio e secondo la scienza, corroborata dalla pratica e gli strumenti agricoli, secondo le più recenti invenzioni. Inoltre si potrà aver cognizioni sull’allevamento delle api e dei conigli.
Il chiarissimo prof. Ottavi fa ben giusti encomi sull’operato del cav. Arcozzi Masino e si meraviglia che il suo esempio non sia seguito, come si potrà vedere nel pregiatissimo giornale “Il Coltivatore”.
I filugelli sono ben coltivati.
Due filatoi danno lavoro a 240 operai, il più grandioso spetta ai fratelli Ceriana, banchieri, e lavora organzini; l’altro dei fratelli Clara si occupa solamente di trame. Due altri sono minori.
Una filatura e setificio dei signori Trossarelli e Beneitone ha 64 fornelletti, occupando da 60 a 100 operai.
Una concia di pelli del prof. cav. Arnaudon sta nella frazione Ceretta sul canale del Malangaro; il suo motore idraulico ha una forza di 30 cavalli. Costituisce uno stabilimento di molta importanza ed è tenuto con massima cura; dà lavoro ad un centinaio di operai, stretti in associazione di mutuo soccorso, i quali lavorano in ogni settimana intorno a 3.000 pelli, per le quali vi sono tini della capacità di 100 di esse, con ruota a palette pel rimestìo, innovazione introdotta dal proprietario.
In tutte le Esposizioni nostrane furono premiati i prodotti usciti dalla concieria in discorso, ed anche all’estero furono distinti. Consistono specialmente in pelli di montone, capra, a colori, in grana, cilindrati, lisci, sigrinati, verniciati, rigati e camosciati, ecc. Nella tintoria vi furono portati non pochi perfezionamenti.
Una fabbrica di carta ad uso di pacchi, quattro seghe, una fucina per arnesi rurali ed i molini sono quanto spetta all’industria locale, come si è veduto assai ben rappresentata.
Si fanno due fiere: al 4 Aprile ed al 4 ottobre; al Giovedì mercato. Nelle prime il traffico consiste specialmente in bestiame, cereali e commestibili.
L’abitato sta a gradi 45.12.55 di latitudine ed a 4.50.15 di longitudine da Roma, a metri 320 sul livello del mare tra S. Francesco al Campo chilometri 1 e 1/2, Ciriè (chil. 2,86), Robassomero (chil. 8), Caselle (chil. 7,4) e Leynì (chil. 13) a maestrale da Torino (chil. 20).
Presentasi diviso in più centri, fra’ quali Borgo Pagliarino verso Torino, borgo S. Giorgio verso Ciriè e le frazioni Malangaro e Ceretta.
La prima distante chil. 2, formante parrocchia con 839 abitanti.
La seconda lungi dal centro chilometri 2 e 1/2, composta di cascine sparse, avente una cappella con cappellano e 1.076 abitanti.
La forma del centro principale è quasi quadrata, le vie sono spaziose, rettilinee, originando tanti quartieri con rigagnoli copiosi nel mezzo.
Presenta un aspetto molto simpatico e signorile.
Degli edifizi sacri al culto primeggia la chiesa parrocchiale, dedicata a S. Morizio, che sta nel centro del borgo, costrutta nel 1629, a cui sta annesso un bel campanile alto metri 51, sul disegno dell’architetto Bo del luogo (1764 78). Vi ha ancora fuori del recinto a metri 200 l’antica parrocchiale a tre navate, con attiguo cimitero, nella quale si scorgono tracce di gotico, avendo i ristauri fatti nel 1720 e 1800 fatto scomparire l’antica architettura. Sull’altare maggiore sono rappresentati S. Morizio e due altri Santi, dipinti sul legno, i quali mi si scrive esser pregievoli.
Sulle pareti della navata di mezzo si vedono ancora antiche pitture. Servì sovente di alloggio a militari nelle piovane, durante gli esercizi militari. Già nel 1461 è qualificata per la vecchia chiesa.
La nuova sta nel centro ed è costituita da una sola navata, principiata nel 1622, con sette altari, in luogo di altra già esistente ed ampliata nel 1568. Fu dipinta nel 1872 dal cavaliere Morgari.
Delle cappelle quella di S. Rocco, proprietà del comune, ha un altare scolpito in legno di qualche considerazione. Quella di S. Michele di proprietà del sig. conte Viarana, attigua al suo palazzo, presenta sculture in legno dorato pregievoli.
Molto in devozione è la cappella alla SS. Vergine della Neve ampliata nel 1858.
Nella frazione Ceretta vi è la cappella alla Madonna di Loreto, munita di cappellano.
In detta frazione vi è pure altra piccola a S. Giacomo; e nel cantone Bruneri, altra piccolissima a S. Giorgio e in quello detto Colombretto, altra a S. Barnaba, annessa alla villa del cav. Bertalozzone.
Nella villa Arcozzi Masino ve n’ha una alla Concezione, ornata di bei stucchi e dipinti.
La parrocchia del Malangaro, sotto il titolo di San Grato, sorse nel 1838. Dopo esser stata amministrata da vari sacerdoti nel 1864 fu nominato priore il vivente Don Cane Angelo di S Maurizio. Si trova nel distretto di questa parrocchia la cappella della Madonna del Salice, già esistente nel 1594.
Un sol cimitero serve per tutte due le parrocchie.
Un Don Francesco di Cavoretto, già canonico cantore di Moncalieri, trovasi pievano di S. Morizio fino al 1570, il quale risulta aver rinunziato alle decime in compenso di 12 giornate di terreno, cedutegli dal comune.
Nel Maggio 1594 l’arcivescovo Broglia visitava la parrocchia di S. Morizio, che trovava in cattivo stato extra terra, di cui era titolare fin dal 1570 Don Billia per rassegna del Francesco di Cavoretto. La parrocchiale aveva un annuo reddito di scudi 100 con obbligo di tener il cappellano. I comunicati erano 1.500; il Sacramento si teneva non nella chiesa parrocchiale ma in una cappella del corpo di Cristo dentro l’abitato per maggior comodità. Questa cappella in buon stato aveva la compagnia dei disciplinanti; vi era pure apuljanua di S. Morizio una cappella a S. Spirito con una casa, nella quale si distribuivano elemosine.
Nel Maggio 1868 prese possesso il vivente teologo Carlo Mino di Torino, persona gentilissima, cui devo molti ringraziamenti per attente ricerche negli archivi parrocchiali, che mi fruttarono alcune buone notizie, alle quali aggiunsi altre desunte dall’archivio arcivescovile.
Nel 1499 Fra Lodovico da Favria, francescano, era nominato titolare della cappella campestre di S. Maria delle Grazie sulla Vauda nei fini di S. Morizio.
Nella parrocchiale vi era una cappellania all’altare di S. Caterina, il cui juspatronato spettava al nobile Odone Gonterio, causidico in Torino, che nel 1549 nominava titolare alla stessa D. Morizio Gallo, qual successore del morto D Seroni. A questo succedeva D. Galvagno di S. Morizio nel 1565.
Troviamo nel 1597 rinunziante D. Vinardo a D. Ponchietto di S. Morizio, presentato dai Gonterio.
Il palazzo comunale è in buon stato, e nell’archivio vidi qualche vecchio documento per cortesia del signor Sindaco e del Segretario.
Vi sono molte case e ville signorili, fra cui si distinguono le seguenti: il palazzo del conte Viarana di Monasterolo, disegnato dall’architetto Barberis, che contiene molti quadri degni di esamina, alcuni della scuola di Rubens su rame.
Ha annessa una cappella, conceduta in perpetuo alla famiglia dal papa Benedetto XIV nel 1758. Ampio, bello si è il giardino alla foggia detta inglese.
Questo palazzo ebbe l’onore nel 1833 di albergare Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II ed il fu suo fratello nel tempo degli accampamenti, più volte questi rimanendo anche dei mesi.
La Borella, villa spettante alle nobili famiglie di S. Albano, è vasta ed amenissima.
Il palazzo Pastoris offrì sovente alloggio ad uffiziali superiori.
Nella frazione Malangaro, fra un gruppo di bei alberi, in mezzo ad uno spianato vasto, brullo di piante, e coltivato a grandi aiuole, sorge la villa del cav. Arcozzi Masino. Era prima della famiglia Villamarina, poi del conte Durandi, cui si deve il fabbricato di buona architettura. Bellissimo è il giardino, ricco di piante pregievoli e solcato da un rivo.
La Favorita del barone Franchetti nella frazione Ceretta è recente costruzione molto elegante con grandiose scuderie.
La villa del cav. Luigi Bertalozone presenta un parco dell’estensione di 94 ettari con moltissimi alberi ultra secolari.
Quella del cav. Asinari appartenne già al celebre incisore Porporati.
Nel giardino dei fratelli Crosa sono a vedersi alberi annosissimi curiosi.
In una vecchia casa vedesi un crocefisso, dipinto antico pregievole. Essa è detta dell’Airà e credesi esser stato un antico convento.
Venendo agli Instituti di beneficenza e d’istruzione, comincierò dalla Congregazione di carità, che ha una rendita annua di lire 1.751 e soccorre in media 200 poveri in ogni anno con sussidi, cura medica e medicinali.
Ha unito l’Ospedale, dovuto alla filantropia del capitano Giuseppe Pastoris del luogo nel 1726, capace di 20 letti.
Nel regolamento stampato di questo sodalizio, compilato dal cav. Arcozzi Masino presidente, trovo quanto segue: “Ebbe principio nel 1719 per R.D. del 1717, mentre prima eravi la Confraternita di S. Spirito, che raccoglieva sussidi pei poveri; e così continuò per qualche anno la Congregazione di carità”. Nel 1726 cominciarono i legati, poiché il sig. Pastoris lasciò una casa per la fondazione di uno Spedale ed un capitale sui Monti di S. Giov. Battista in Torino.
È pure unito alla Congregazione e da essa amministrato un ospizio contiguo all’ospedale per dare alloggio gratuito ai poveri. Fondatore di questo fu un Tagna Michele nel 1784, che lasciò la casa.
L’Asilo infantile sorse nel 1860 per azioni di privati, dei quali va accennato il barone Franchetti, che donò una rendita di L. 200.
Il comune, oltre il locale concesso, sussidia l’asilo con L. 150 annue. È frequentato giornalmente da un centinaio di bambini allevati dalle Suore di carità. È presieduto dal teologo Mino pievano locale ed amministrato dal sig. capitano Cariatore.
Le Scuole elementari maschili e femminili sono sette: due maschili ed una femminile nel centro principale, una maschile ed altra femminile per ciascuna frazione.
La media giornaliera degli scolari d’ambo i sessi è di 350 con grande diminuzione nell’estate.
Esistono una Società degli operai ed altra filarmonica nella frazione Ceretta.
L’ufficio di Posta nel 1864 aveva impostato 65.376 corrispondenze, vaglia n° 2.413 del valore complessivo di L. 63.081, che dava per rendita L. 1.442 con spesa di L. 750. Nel 1871 la rendita fu di L. 1.916, la spesa di L 780, e si fanno e ricevono tre dispacci al giorno.
Vi sono alberghi, caffè assai ben tenuti; dei primi quello dei fratelli Beltramo primeggia, dei secondi quello detto del Centro.
Un servizio di omnibus in coincidenza con la ferrovia, conduce a Valperga, Cuorgnè e nell’estate a Pont. Si trovano facilmente veicoli a nolo nello stabilimento Beltrami, che è concessionario del suddetto servizio.
Le condizioni atmosferiche non sono cattive: non vi sono morti endemici. Risiede un medico chirurgo coadiuvato da un flebotomo.
Vi sono due farmacie ed una casa di sanità aperta nel 1870 e diretta dal cav. dottore Turina per tutte le malattie chirurgiche ed altre, che ha annesso uno stabilimento di bagni semplici e medicali. Si fa coadiuvare da altro medico chirurgo.
Giardini, boschetti, musica, letture geniali, giuochi di società rendono questo stabilimento assai aggradevole e frequentato.
Nel 1861 si verificavano 3.425 abitanti, di cui maschi 1.682, femmine 1.743, celibi 1.076, nubili 1.026, coniugati 543, coniugate 551, vedovi 63, vedove 166, formanti 732 famiglie, dimoranti in 508 case, delle quali 9 vuote.
Nell’ultimo censimento si ebbero 3.755 abitanti.
Del 1869 gli elettori politici erano 105, gli amministrativi 316; i matrimoni 30, i nati 39, i morti 93.
Gli abitanti in generale sono dati all’agricoltura e furono riconosciuti buoni d’indole, di facoltà intellettuali, e di complessione mediocri non molto intraprendenti.
Parlano il dialetto signorile, quello cioè che si avvicina più al torinese.

1 – Arcozzi Masino era proprietario della Cascina Nuova oggi posta ai bordi dell’aeroporto.

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