Alla fine degli anni Sessanta del Novecento, gli artisti contemporanei hanno ridefinito il concetto di scultura: le nuove tecnologie hanno permesso complesse sperimentazioni con materiali naturali e artificiali. Hanno stimolato l’interconnessione tra i diversi linguaggi dell’arte -dal classico all’astratto- dando vita ad opere che ben hanno espresso, ed esprimono, una cultura sempre più caleidoscopica. I materiali di cui sono fatte le sculture hanno perso il loro significato strettamente “materico” per diventare veicoli emozionali delle differenti percezioni estetiche degli artisti. In un panorama di sensibili interpreti della modellazione contemporanea di alto livello ben si colloca Gabriele Garbolino Rù: classe 1974, famiglia originaria di Viù, docente di Anatomia Artistica presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Il suo curriculum è molto ricco, a partire dalla presenza di alcuni suoi modellati in collezioni museali, alle numerose mostre personali e collettive, alla realizzazione di significative opere pubbliche. Di Garbolino Rù è il restauro integrativo del Monumento al Frejus, in piazza Statuto a Torino; la fusione in alluminio per il Monumento ai Caduti sul lavoro per il comune di Collegno; il ritratto scultoreo (frutto di una attenta indagine storica) che ricostruisce il volto della marchesa Giulia di Barolo, per l’omonima Fondazione. Il Museo Tazzetti di Usseglio, nello scorso luglio, ha celebrato i vent’anni della sua fondazione con una mostra temporanea dedicata al tema dell’immigrazione: l’artista era presente con “Grano nuovo” una fusione in bronzo di una bambina seduta su un basamento in acciaio corten sul quale sono incise parole in quattro lingue (Italiano, Inglese, Arabo, Ebraico) che fanno da trade union tra i popoli. Per il Santuario di Viù realizza i gruppi scultorei dedicati alla Madonna della Salette. Suoi sono i ritratti bronzei dei successori di Don Bosco per la chiesa di Maria Ausiliatrice di Torino. Le sculture di Garbolino Rù sono inscenate su una costante riflessione sull’essere umano e sull’esistenza: “il tema del destino dell’uomo è centrale nella mia ricerca, è un tema che non può prescindere da una riflessione sul rapporto con la natura che è di conflitto, ma anche di fusione”, spiega l’artista “mi sono sempre concentrato sull’analisi del volto, sulla figura umana intesa come ritratto, espressione di un’esistenza, linguaggio per raccontare e raccontarsi, per indagare”. Le figure di animali proposte dal Maestro trascendono dal materiale, assumono una dimensione ancestrale densa di significato: ne è esempio una ferina testa di tigre rappresentata nella sua più alta aggressività che evoca la conquista del selvaggio da parte dell’uomo.
Garbolino Rù ha una profonda conoscenza dei materiali che usa per esaltare le sue espressioni plastiche. Per realizzare il bassorilievo in negativo raffigurante la Madre del Redentore nella chiesa di Cinisi (PA), ha utilizzato lastre di marmo di Galizia proprio perché permette di valorizzare gli effetti chiaroscurali del modellato; inoltre il suo colore richiama quello delle rocce calcaree siciliane, per sottolineare l’indissolubile legame paesaggio/natura/arte.
Ancora di Garbolino Rù sono le sculture per la Cappella del Buon Pastore della sede CEI di via Circonvallazione Aurelia 50 a Roma, inaugurate lo scorso 20 gennaio. Le due opere sono state realizzate a seguito del concorso di idee indette dalla Segreteria Generale e coordinato dall’Ufficio Liturgico Nazionale e dall’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici che richiedeva la realizzazione di un’immagine mariana da collocare dietro l’ambone e del nuovo sportello del tabernacolo. La scelta dei materiali si è rivolta alla solida tradizione scultorea; il tabernacolo, inserito in una struttura preesistente, è una fusione in bronzo a cera persa, con doratura a foglia. L’Annunciazione, che si pone in stretto rapporto con l’ambone, è un bassorilievo scavato in negativo, in Bardiglio di Carrara, dove ha grande importanza la luce che lascia un’impronta nel marmo: “è una scultura fatta di luce che, giocando sul negativo fotografico, è visibile solo attraverso la luce”, conclude l’artista, lasciando trasparire tutta la sua sensibilità.